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«Faeriefeller» (2019) di Cecily Brown © Sotheby’s

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«Faeriefeller» (2019) di Cecily Brown © Sotheby’s

Tecniche speculative e contromosse: come difendersi dal «flipping»

L’acquisto di un’opera in galleria per rivenderla subito in asta al solo scopo di guadagno condiziona il mercato dell’arte contemporanea. Esistono strumenti di difesa, ma non sempre funzionano. E il caso di un dipinto di Cecily Brown lo dimostra

Alessia Zorloni, Roberta Ghilardi

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Nel mondo dell’arte gli autori più richiesti hanno lunghe liste d’attesa e le loro opere vengono cedute principalmente ai musei e ai clienti più importanti della galleria, con il risultato di lasciare insoddisfatti molti collezionisti. Se, ad esempio, le opere disponibili sono 20 e i collezionisti interessati sono 100, l’eccesso della domanda potrebbe incoraggiare anche i collezionisti più seri, che hanno avuto il privilegio di acquistare le opere, a metterle all’asta poco dopo. Questo spiega il fenomeno del flipping e della vendita in asta di lavori di recente produzione.

L’art flipping è quindi una pratica attuata da collezionisti-speculatori che consiste nell’acquisto di nuove opere, nel mercato primario, tramite una galleria, per poi rivenderle in asta subito dopo, ottenendo una plusvalenza. Mutuando questa pratica da altri mercati più avvezzi alla negoziazione e rinegoziazione rapida dei beni, il flipping si è diffuso anche nel mondo dell’arte, rendendo instabile il mercato e influenzando la struttura dei prezzi.

A tutela degli artisti, della loro reputazione e dello sviluppo delle relative carriere, è quindi sempre più frequente che art dealer e gallerie definiscano specifiche clausole contrattuali, o «resale restriction», volte a limitare le possibilità che si incorra nel flipping. Tali condizioni possono assumere forme diverse, ma riguardano prevalentemente l’impossibilità per l’acquirente di rivendere l’opera d’arte per un certo periodo di tempo. In alcuni casi, è possibile anche che il venditore richieda di avere diritto a riacquistare l’opera dall’acquirente, qualora quest’ultimo avesse intenzione di venderla o ricevesse offerte da terzi.

L’applicabilità delle resale restriction non è tuttavia cosa certa, poiché, a seconda della normativa vigente nei singoli Paesi, queste clausole possono essere considerate come un ostacolo alla concorrenza.

Il caso. Era il 2019 quando Michael Xufu Huang acquistò durante la fiera Art Basel Miami l’opera «Faeriefeller» (2019) di Cecily Brown dalla galleria Paula Cooper di New York per un valore di 700mila dollari. Il collezionista cinese, cofondatore del M Woods Museum e del X Museum di Pechino, ha sfruttato la propria posizione privilegiata di collezionista d’eccezione per ottenere l’opera della nota artista inglese, molto richiesta sul mercato ma non facilmente accessibile, per rivenderla subito al collezionista argentino Federico Castro Debernardi, per 770mila dollari, applicando quindi una commissione del 10%.

Nelle parole di Huang, fu solo «un favore» a un amico, tant’è che Debernardi pagò anche le spese di viaggio sostenute da Huang per realizzare l’acquisto. L’obiettivo non era quindi il ritorno economico, che sarebbe stato di certo maggiore se l’opera fosse stata rivenduta a prezzo di mercato, in un’asta pubblica. A sua volta Debernardi, poco dopo l’acquisto, si rivolse alla galleria Lévy Gorvy per rivendere l’opera. Non appena la galleria Paula Cooper venne a conoscenza della rivendita, minacciò di citare in giudizio Huang per un importo compreso tra 500mila e 1 milione di dollari.

La galleria Paula Cooper aveva infatti inserito una resale restriction nell’accordo di compravendita con Huang, che impediva al collezionista di vendere l’opera per tre anni, se non coinvolgendo la galleria stessa come intermediario. Il mancato rispetto di questa clausola avrebbe reso Huang perseguibile per un valore pari alla differenza tra la quotazione di simili opere dell’artista in perfette condizioni vendute tramite asta e il prezzo di acquisto originale.

L’episodio si chiuse al di fuori dei tribunali statunitensi, tramite un accordo costato a Huang «molto più del 10%» della commissione, secondo quanto da lui stesso dichiarato. Huang a sua volta si rivalse su Debernardi citandolo in giudizio nel marzo 2021, chiedendo un risarcimento di 1,3 milioni di dollari per danni alla reputazione. Il caso si chiuse nel gennaio 2022 con un accordo extragiudiziario. Nel frattempo, nel marzo scorso l’opera di Cecily Brown è passata di mano a un nuovo acquirente nell’asta organizzata da Sotheby’s a Londra, «The Now Evening Auction», alla cifra di 3.182.985 dollari (3.898.105 con le commissioni).

In conclusione, le resale restriction possono avere la funzione di deterrente al fenomeno del flipping, ma non è certo che possano costituire una garanzia per il venditore. Tutto dipende dalla normativa applicabile nei Paesi in cui viene presentata un’eventuale istanza giuridica. Si spera però che più gallerie adotteranno clausole contrattuali stringenti nei loro accordi di compravendita, più il sistema dell’arte vedrà una riduzione dei fenomeni speculativi, soprattutto sui giovani artisti.
 

«Faeriefeller» (2019) di Cecily Brown © Sotheby’s

Alessia Zorloni, Roberta Ghilardi, 30 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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