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Il dipinto di Gentile da Fabriano come si presentava nel 1991 all’asta Phillips di Londra e la stessa «Crocefissione» (1405-10 ca) nella Pinacoteca di Brera di Milano.

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Il dipinto di Gentile da Fabriano come si presentava nel 1991 all’asta Phillips di Londra e la stessa «Crocefissione» (1405-10 ca) nella Pinacoteca di Brera di Milano.

Truffe o scoperte? Trappole per storici dell’arte

La storia del mercato e del collezionismo è fatta di ritrovamenti imprevedibili (ma anche di abili raggiri) ed è anche questa una ragione di fascino. A partire dal «Foppa ritrovato» a Genova ripercorriamo due casi clamorosi

Alessandro Morandotti

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Le avventure del mercato dell’arte e del collezionismo attraggono in modo morboso le cronache, alla ricerca costante di scoperte roboanti, di prezzi da record, ma anche di risvolti da legal thriller. Queste restituzioni sono spesso un poco miopi, frutto di frettolose e improvvisate interpretazioni, e andrebbero reindirizzate in una seria prospettiva storica.

Ho seguito con attenzione le polemiche recenti nate in margine a una vicenda iniziata il 29 maggio 2019, quando un dipinto rinascimentale volgarmente ridipinto e assegnato a un anonimo artista del Seicento venne venduto all’asta Wannenes a Genova per circa duemila euro e poi esportato con regolare licenza. Qualche tempo dopo, il 22 aprile 2021, la stessa opera, liberata dai pesanti ritocchi e riportata all’antico splendore, transitò da Christie’s a New York con la corretta assegnazione a Vincenzo Foppa, il patriarca della pittura rinascimentale lombarda.

La stima (200-300mila dollari) era adeguata alla riacquisita natura di piccolo capolavoro ma, grazie all’inesorabile tracciabilità delle informazioni favorita dal web, era riemersa, in un tam tam di notizie degne di una spy story giunte infine sul tavolo del Ministero della Cultura (MiC), la foto del quadro così come si presentava nell’asta precedente, vendita in seguito alla quale i nuovi proprietari, presentando l’opera nello stato in cui si trovava, avevano ottenuto il permesso di esportazione.

Invocando l’autotutela, vale a dire la possibilità di annullare un’autorizzazione laddove gli uffici ravvisino la scarsa trasparenza o l’omessa completezza dei dati da parte del richiedente licenza di esportazione, il MiC ha avviato un’operazione di polizia internazionale in seguito alla quale il dipinto ritrovato di Foppa è stato posto sotto sequestro.

Gli elementi per utilizzare questo strumento di difesa dell’Amministrazione pubblica c’erano tutti e, dopo lunghe vertenze in cui certamente i nuovi proprietari hanno cercato di fare valere la propria buona fede (Abbiamo fatto una scoperta nell’asta di Genova, rivelata in seguito dal restauro...), il Tar del Lazio con una sentenza del 3 aprile 2023 ha dato ragione al MiC che sosteneva di essere stato ingannato nella formulazione del proprio giudizio favorevole all’esportazione dallo stato conservativo in cui l’opera si trovava. I giornali hanno subito dato evidenza a questo finale di partita, parlando di beffa ai danni della Soprintendenza di Genova, l’ufficio che aveva concesso licenza nel 2019, fuorviato dall’artificiosa ridipintura che aveva mascherato e reso irriconoscibile il dipinto.

Non conosco i dettagli di tutta l’indagine giudiziaria, ma mi immagino che il Ministero, non potendo più valutare la natura delle ridipinture (antiche? recenti?), abbia evidenziato l’esistenza di una truffa organizzata nel caso dagli stessi compratori del dipinto malconcio. Ma gli acquirenti sapevano (cioè avevano ordito una trama facendo camuffare l’opera da un restauratore falsario, mettendola poi all’asta attraverso un prestanome per ricomprarla e presentarla ufficialmente all’ufficio esportazione come oggetto di poco conto) o hanno visto quello che altri non avevano visto?

Le cose cambiano parecchio di fronte a questo bivio (truffa o scoperta?) e laddove non fosse possibile documentare in modo evidente l’inganno anche il Ministero dovrebbe accettare il proprio sbaglio in buona fede, che è anche l’errore di tutti gli altri compratori partecipanti all’asta che non si sono accorti del capolavoro nascosto sotto le ridipinture.

La storia del mercato e del collezionismo è fatta di scoperte imprevedibili (ma anche di grandi truffe, perché non dirlo) ed è questo il suo grande fascino. E se quella bizantinizzazione del dipinto di Foppa fosse il frutto di una ridipintura per ragioni devozionali? Perché si voleva abbassare il lucore prepotente dell’oro originale e il naturalismo umano e non divino del volto del santo?

Laddove agli atti fosse ormai conclamata la truffa, perché la «banda del Foppa» ha confessato le sue trame o gli inquirenti hanno trovato prove inconfutabili del delitto, questa che vi propongo è solo una storia impossibile, ma si conoscono molti altri esempi in cui i mascheramenti falsificanti sono avvenuti per ragioni di gusto e hanno favorito riscoperte favolose sul mercato dell’arte. Ne presento due, anche più clamorosi di questa vicenda recente.

Gentile da Fabriano, 1991
Il 10 dicembre 1991, nella vendita di Old Master Paintings di Phillips a Londra, veniva presentata al lotto n. 78 una «Crocefissione» assegnata alla cerchia di Ugolino di Nerio, un pittore senese dell’ambito duccesco. La stima era indicata in 15-20mila sterline e nella laconica scheda di catalogo era evidenziato che il fondo era ridipinto. Le silhouette dei protagonisti erano «ritagliate» contro un cielo plumbeo, penitenziale, e le figure avevano certamente subìto ripassature e ritocchi evidenti.

Il dipinto raggiunse un prezzo finale di 120mila sterline, quindi molto più alto della stima, ma assai più basso di quello richiesto dai nuovi proprietari dopo che, in seguito a un attento restauro, l’opera aveva riacquisito tutte le qualità originali e la corretta attribuzione a Gentile da Fabriano, un pittore attivo in tutt’altro contesto cronologico e geografico rispetto a quello individuato in sede di catalogo d’asta. Ragioni unicamente devozionali avevano guidato la ridipintura dell’abbagliante fondo dorato, l’occultamento dei capelli dorati di Maria nonché del prezioso lavoro di granitura dell’oro sui panneggi dell’angelo in alto a sinistra e così via.

Qualche anno dopo la vendita di Londra, nel 1994, il dipinto approdò alla Pinacoteca di Brera, acquistato per una cifra considerevole ma adeguata alla qualità dell’opera, senza suscitare alcuna polemica in merito alla pubblica accessione a un prezzo molto più alto rispetto a quello della vendita Phillips: si trattava di una riscoperta eccezionale che andava riconosciuta premiando chi l’aveva fatta così come talvolta avviene nelle vicende della storia del collezionismo e del mercato dell’arte. Qualche miope cronista animato dal sensazionalismo di oggi avrebbe allora potuto titolare, quando ancora esistevano le lire, «Brera compra a due miliardi un quadro venduto a poco più di 200 milioni di lire», e si sarebbe allora dovuto faticosamente spiegare quello che bisognava capire.

Jean Malouel, 1985-2012
Esiste però un caso ancora più eclatante di riuscito travestimento, quasi inverosimile, e lo hanno raccontato in una bellissima mostra dossier del 2012 la curatrice del Louvre Dominique Thiébaut e il consulente scientifico del museo Dimitri Salmon, dopo l’acquisizione del dipinto da parte del museo francese.
Poco dopo il 1985 (anno della fotografia prima del recupero conservativo) il dipinto oggi al Louvre venne venduto dalla piccola chiesa di Vic-Le-Comte, dipartimento di Auvergne, Francia centrale. Per le leggi di tutela francesi, alcuni edifici religiosi, in casi particolari, hanno possibilità di vendere e sostituire gli arredi liturgici ed è quello che è avvenuto.

Quello strano accrocchio presente su uno degli altari della chiesetta francese fino al 1985 disturbava forse il parroco di allora che provvide alla vendita, probabilmente favorita anche dalla bizzarra ma elegante incorniciatura a volute e girali che racchiudeva il dipinto, verosimilmente eseguita tra fine ’700 e primo ’800 nel momento in cui il dipinto venne «bizantinizzato» e quindi trasformato in una «mostruosa» icona seriale. Il nuovo acquirente, forse incuriosito dalle piccole tracce dorate visibili sotto la fangosa ridipintura grigia, lo fece restaurare e, quasi per un miracolo, è riapparso uno dei più importanti dipinti primitivi francesi eseguiti prima dell’esordio di Jean Fouquet, in seguito acquistato dal Louvre.

Si riscopriva così un possibile autografo del raro pittore di corte di Filippo l’Ardito, Jean Malouel, un equivalente di Beato Angelico in Francia, conservato quasi in ogni dettaglio se si escludono alcune lacune evidenti nelle zone di connessione delle tavole. Queste sono solo alcune delle fantastiche storie che possono raccontare le opere d’arte nel corso della loro lunga e spesso travagliata vita, che tocca a noi ricostruire con attenzione.
 

Il «Cristo in pietà» (1405-10 ca) attribuito a Jean Malouel ora al Musée du Louvre di Parigi e, a sinistra, come si presentava nel 1985

Il dipinto di Vincenzo Foppa nella foto del catalogo d’asta Christie’s New York del 2021 e, a destra, come si presentava nel 2019 all’asta Wannenes di Genova

Alessandro Morandotti, 29 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

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