Pierre Rosenberg e Claudio Strinati
Leggi i suoi articoliARTICOLI CORRELATI
Umberto, curioso di tutto e di tutti
Mi capita spesso, per le strade di Londra o di New York, di imbattermi in uno storico dell’arte olandese e nel suo collega canadese e, con mia grande sorpresa, mi accorgo che non stanno parlando in inglese, come ci si potrebbe aspettare, ma in italiano. Stanno parlando di storia dell’arte e del centoquattordicesimo Caravaggio scoperto in un tepee amerindio o dello Zeitgeist e degli alberi di limone già in fiore in Italia? Non lo so, ma l’importante è che stiano conversando in italiano. La ricchezza del patrimonio italiano, senza dubbio il più importante al mondo, giustifica questa scelta. Ma c’è di più, molto di più e «Il Giornale dell’Arte» fa innegabilmente parte di questo «di più».
Umberto Allemandi, il suo fondatore più di quarant’anni fa, il suo capo esigente, attento a ciò che accade in Italia, ovviamente, a Torino, a ciò che vi è accaduto e a ciò che vi dovrebbe accadere, attento a ciò che accade nel mondo, tiene gli occhi aperti. Una mostra su un pittore locale in un paese delle Marche, un restauro in Campania, un simposio in Umbria, la nomina talvolta fortunata di un nuovo soprintendente a Napoli o a Firenze, l’acquisizione da parte del Louvre di un Tiepolo venduto da Christie’s a Londra il 3 dicembre scorso: nulla sfugge all’occhio severo di Umberto, curioso di tutto e di tutti.
La lettura di «Il Giornale dell’Arte» è un must per ogni storico dell’arte che si rispetti e che voglia tenersi aggiornato sugli ultimi sviluppi artistici. Molto di più, leggerlo è un piacere. Attendo con impazienza l’arrivo dell’ultimo numero del «Giornale». L’ultimo numero mi racconta che l’amata gatta di Nicolas Poussin, Yseult, ha appena avuto tre gattini promessi rispettivamente a Cassiano dal Pozzo, al cardinale Omodei e, ancora più sorprendente (solo i lettori del prossimo catalogo ragionato delle opere dipinte di Poussin capiranno questo «più sorprendente»), a Bernini.
Umberto, mio amico e più giovane di me di qualche anno, ha passato le consegne. Speriamo che queste nuove mani sappiano mantenere questo gioiello che fa onore all’Italia e che tanto deve a Umberto.
Pierre Rosenberg
Facendo la cronaca fa anche la Storia
Quando Umberto Allemandi all’inizio degli anni Ottanta concepisce una sigla editoriale sua, che porterà subito a «Il Giornale dell’Arte», è da tempo l’editore esperto e competente che ha avuto un’intuizione formidabile, degna di un Bobi Bazlen redivivo.
Si è appena conclusa la grande stagione delle pubblicazioni divulgative e popolari, sviluppatasi tra gli anni Sessanta e Settanta con collane come «I diamanti dell’arte» (Sadea Sansoni), «I Maestri del Colore» (Fabbri), «I Classici dell’arte» (Rizzoli) e Umberto Allemandi aveva avuto nel frattempo esperienze notevoli con Armando Testa e con Giulio e Alberto Bolaffi per «Bolaffi Arte», giganti della creatività e della disciplina catalogatoria. Queste doti Allemandi ce le aveva, quanto e più di chiunque altro. Così adesso toccava a lui, a partire da un semplice principio ormai ben metabolizzato nella nostra cultura: le nozioni sono notizie o, per meglio dire, possono e debbono essere trattate come tali. Così, nel 1983, esce il primo numero di «Il Giornale dell’Arte» edito da Allemandi e subito appaiono le collane editoriali che non possono non affiancarne la logica da cui è nato, prima fra tutte gli «Archivi di Arte Antica». Il sobrio e riservato spirito piemontese che lo caratterizza non fornisce spiegazioni o formule teoretiche che illuminino sulla genesi di questa strepitosa novità.
«Il Giornale dell’Arte» si chiama giornale ma è mensile e va bene così, perché con il tempo diventerà talmente fitto e strapieno che ce lo possiamo leggere con calma nel corso di un mese. Dentro c’è tutto e a pari livello: la storia e la cronaca, le novità sull’amministrazione e sulla gestione, le storie delle persone del mestiere, siano artisti, curatori, galleristi, antiquari, studiosi e critici militanti. Così «Il Giornale dell’Arte» facendo la cronaca fa anche la storia.
Allemandi questa idea di totalità se l’è proprio inventata lui anche se era di fatto nell’aria. Ho pensato spesso che l’avesse già nel cognome se lo leggiamo in tedesco, malgrado la sua cultura sia più francese e anglosassone. Però un potenziale germanico è strutturale nelle sue strategie di rigore inflessibile e volontà ferrea nell’imporre il proprio criterio, che è poi quello di lasciare la più totale libertà ai collaboratori una volta scelti da quella mano di ferro nel guanto di velluto. Insomma in tedesco Allemandi si potrebbe dire, più o meno, «Alle Männer», cioè «tutti quanti!». Tutti quelli che dice Umberto, beninteso. In effetti è sbalorditivo pensare come quest’uomo discreto e pacato, quieto e riflessivo e nel contempo pieno di fervori impetuosi e di accensioni emotive, abbia costituito napoleonicamente un vero e proprio esercito che egli stesso governa senza emanare ordini, ma dando direttive perentorie valide una volta per tutte e su cui non si torna più.
La macchina funziona e l’uscita di «Il Giornale dell’Arte» è sempre attesa. Quella montagna di carta costituita dal giornale vero e proprio e da una miriade di allegati, speciali e itinerari mi ricorda ancora oggi una cerimonia che, da quando l’elettronica domina le nostre vite, ha perso un po’ di senso ed è quella del personaggio indaffaratissimo a causa della sua alta posizione sociale che entra in ufficio o in azienda portando sotto braccio la mazzetta dei giornali che poi sfoglierà rapidamente cogliendo subito l’essenziale. «Il Giornale dell’Arte» non è un giornale, è la mazzetta dei giornali. Perché ci devi trovare tutto, meno l’apriorismo politico e l’arma del ricatto, che non giovano e non interessano al saggio e divertito lettore di quest’organo di stampa. Allemandi l’ha stabilito una volta per tutte ed è notevole osservare adesso come «Il Giornale dell’Arte» sia una specie di Minerva nata dalla testa di Giove perfettamente armata e compiuta.
Paragoniamo il primo numero a quello che esce tra poco e notiamo che l’impostazione, lo stile e il significato sono gli stessi. Umberto Allemandi è un dispensatore di desideri e il giornale lo è diventato da subito ma non è l’equivalente di un giornale sportivo, che leggono solo i tifosi.
Claudio Strinati