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Lonnie G. Bunch III. © Leah L. Jones

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Lonnie G. Bunch III. © Leah L. Jones

Un colosso da 19 musei e 21 biblioteche

Parla Lonnie G. Bunch, il nuovo segretario della storica Smithsonian Institution

Brian Allen

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Lonnie G. Bunch III è il nuovo segretario della Smithsonian Institution, un colosso con 19 musei, 21 biblioteche, lo Zoo Nazionale, svariati centri di ricerca e 154 milioni di oggetti conservati a Washington. Il segretario ne è il capo effettivo. Insegnante e curatore per formazione, Bunch ha ricoperto diversi ruoli all’interno dell’istituzione. È stato il primo direttore del National Museum of African American History and Culture (Nmaahc), portandolo in soli 11 anni a essere uno dei siti più visitati della Smithsonian. Il suo nuovo libro ne ripercorre la storia. A Fool’s Errand: Creating the African American History and Culture Museum in the Age of Bush, Obama, and Trump (Smithsonian Books, 288 pp., 26,96 dollari) è un mix di autobiografia e storia istituzionale di un leader che sa come muoversi all’interno di una grande organizzazione di proprietà governativa.

Che cosa l'ha attratta a guidare il Nmaahc, essenzialmente una start up?
Quando mi venne offerto l'incarico, il presidente del Cda della Chicago Historical Society mi disse: «Lonnie, sei pazzo? Perché vuoi andare in un posto che si cerca di mettere insieme da 100 anni? Non succederà mai». E poi disse: «Dovresti desiderare di essere il secondo direttore, non il primo».

Ha iniziato con uno staff di due persone e senza una collezione, una sede, un sito o del denaro.
In parte era ingenuità, ma io lo chiamo ottimismo. Un buon leader dev’essere un ottimista. Sapevo che solo la Smithsonian avrebbe potuto mettere insieme le risorse e attrarre i talenti per farlo funzionare.

Parlando di leadership, ho visto una mostra che ha fatto anni fa sui presidenti degli Stati Uniti quando era curatore del Museo Nazionale di Storia Americana. Quali sono i presidenti che ammira di più?
Franklin Roosevelt, in parte perché fondamentalmente ha detto che la responsabilità principale del Governo è il benessere del suo popolo; Lincoln, perché era uno scrittore dotato; e Martin van Buren, un supremo costruttore di alleanze, che ci ricorda che i migliori leader sono quelli in grado di costruire coalizioni e alleanze.

Quali sono gli ingredienti della leadership che ha portato al museo e che porta ora alla Smithsonian come segretario?
Penso di avere sempre seguito la stessa linea da quando ho scoperto quella frase di Napoleone: un leader efficace definisce la verità e dà speranza.

Quali sono le sue priorità strategiche?
In parte individuare la contrapposizione tra tradizione e innovazione. Se 29 milioni di persone vengono alla Smithsonian ogni anno, ciò significa che altri milioni di persone non ci arriveranno mai. E così, pensando a quanto efficacemente ci estendiamo al di fuori di Washington. E poi la creazione della Smithsonian virtuale [online], che consenta al pubblico il tradizionale accesso alle nostre collezioni e competenze, ma permetta loro anche di vedere la Smithsonian attraverso la lente dell’innovazione, della razza o dell’identità americana. In definitiva il mio obiettivo è quello di dare all’America la Smithsonian di cui ha bisogno e che merita. E questo significa anche che deve essere un luogo che aiuta le persone a trovare una comprensione contemporanea e le risposte alle questioni rilevanti nelle loro vite. Quindi, se si vogliono affrontare le questioni sul cambiamento climatico, la Smithsonian può aiutare a pensarci. Se si vogliono capire le domande sulla centralità della razza o su cosa veramente significhino i monumenti confederati, la Smithsonian può anche aiutare a farlo. La Smithsonian riguarda tanto l’oggi, quanto il domani, quanto l’ieri.

Che cosa pensa dello stato dell’insegnamento della storia americana?
Sono sempre colpito dall’amnesia storica, dal fatto che la storia sia questa cosa esotica che riguarda il passato. Se si vogliono comprendere le nostre nozioni di resilienza, ottimismo o spiritualità, si deve guardare indietro alla storia.

Ci racconti la sua esperienza allo Smithsonian American Art Museum quando era uno studente alla Howard University.
Tra le cose che amo ci sono l’arte e la fotografia e penso che la Smithsonian mi abbia indicato il percorso in senso positivo. A essere in grado di seguirlo e a essere rigenerato guardando bella arte. A essere in grado di apprezzare le immagini del XIX secolo di Frederick Douglass o delle persone che avevo sempre desiderato conoscere più a fondo.

Quali sono gli artisti con cui sente una maggiore affinità?
Sono stato molto colpito da Mark Rothko. Sono stato portato dove non avrei mai potuto immaginare da artisti come Horace Pippin e [Henry Ossawa] Tanner. Mi ha commosso guardare l’opera di Judy Chicago, che mi ha introdotto alle questioni di genere in modi davvero importanti. Trovo ispirazione quando entro nella Freer Gallery of Art e visito la Peacock Room di Whistler.

Che cosa pensa della mostra Hide/Seek alla National Portrait Gallery nel 2010, quando l’allora segretario G. Wayne Clough ordinò la rimozione di un'opera di David Wojnarowicz perché aveva offeso un membro del Congresso? Lei cos’avrebbe fatto?
Un concetto per me fondamentale è che non voglio mai controllare la creatività. Nel caso si possa verificare una controversia, voglio saperlo in anticipo in modo da poter intervenire in modo propositivo.

La tesi del suo master era sui giornali afroamericani nell’epoca d’anteguerra. Mi parli della sua prospettiva in qualità di partner del controverso Progetto 1619 del New York Times, che poneva la schiavitù al centro della storia e dell’identità americana.
Sono uno storico. Penso che ogni volta che si può illuminare un angolo oscuro, come per il 1619, è qualcosa che fa parte del lavoro dei musei. Ne rimasi molto soddisfatto perché, in un certo senso, gli americani non supereranno mai alcune delle questioni che ci dividono a riguardo della razza fin quando non comprenderanno quella storia e non affronteranno tematiche come la schiavitù. Quindi avrei potuto interpretare la cosa in un senso o nell’altro, ma ritenni che quello che avevano fatto potesse portare a un cambiamento.
 

Lonnie G. Bunch III. © Leah L. Jones

Brian Allen, 17 dicembre 2019 | © Riproduzione riservata

Un colosso da 19 musei e 21 biblioteche | Brian Allen

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