Cento anni di fotografia scorrono insieme ad altrettanti anni di storia di Trieste, osservati da un punto di vista speciale: quello dell’atelier della famiglia Wulz. Il racconto di una città e di una famiglia lungo tre generazioni si snoda tra le 300 immagini che compongono la mostra «Fotografia Wulz. La storia, la famiglia, l’atelier». Organizzata dall’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con la Fondazione Alinari di Firenze, che ha acquisito il fondo Wulz nel 1986 (nel 2019 a sua volta acquisita dalla Regione Toscana), la mostra è a cura di Antonio Giusa e Federica Muzzarelli e resterà aperta fino al 27 aprile al Magazzino delle Idee di Trieste.
«Per capire la storia dei Wulz è utile conoscere quella di Trieste, ma per comprendere meglio la storia della città è utile conoscere quella dei Wulz» scrive Giusa nel catalogo che accompagna la mostra, sintetizzando l’intreccio tra una vicenda, quella di una città che si va trasformando, e l’altra, quella di uno studio fotografico che evolve dal ritratto ottocentesco alle sperimentazioni futuriste. Sperimentazioni il cui più noto e famoso risultato è l’autoritratto di Wanda Wulz «Io + gatto» del 1932, frutto di un lavoro di montaggio in camera oscura. Giusa ricorda chi già aveva etichettato l’atelier dei Wulz come «“quasi un sismografo” che ha registrato ciò che è accaduto in città», e spiega come il fondatore dello studio, Giuseppe, inizi le sue sperimentazioni intorno al 1865, modificando via via lo stile del ritratto, un filone «che prosegue con le nuove prospettive commerciali costituite dai ritratti in costume dei ceti popolari eseguiti in studio», ma orientando sempre più il suo interesse verso il paesaggio urbano: «Wulz intende offrire ai potenziali committenti una vasta scelta di fotografie che illustrino lo sviluppo della città e ne testimonino l’ascesa nella seconda metà dell’Ottocento».
La conduzione dell’atelier passerà a partire dal 1891 al figlio Carlo «attento a illustrare la città, continua Giusa, che cresce non solo dal punto di vista demografico, ma anche da quello sociale. Le competenze professionali, ma anche l’appartenenza alla Lega nazionale e la vicinanza alla Società operaia triestina dei componenti della famiglia, favoriscono la costruzione di una rete di relazioni che garantiscono il successo commerciale, ma soprattutto un’ampia rappresentazione delle trasformazioni che avvengono nella società triestina». Insomma, con Carlo, irredentista, l’Atelier Wulz diventa un punto di riferimento culturale per la città. Dopo sua la morte, nel 1928, lo studio passerà nelle mani delle figlie, Wanda e Marion, che ne conducono il terzo periodo di vita, caratterizzato dall’interesse per il Futurismo e da quello per il corpo della donna che acquisisce un posto centrale, in chiave libera e dinamica, fino al 1981, anno della chiusura,. La mostra si inserisce nel palinsesto di «GO!2025&Friends», il cartellone di eventi collegato al programma ufficiale di Gorizia Capitale europea della Cultura.