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A inizio 2024, per la prima edizione di Radis, avevo invitato Giulia Cenci a pensare a un’opera permanente per il Chiot Rosa, una radura di betulle a milleduecento metri sul livello del mare in provincia di Cuneo. Nuto Revelli, che fece parte delle brigate partigiane addestrate poco lontano dal Chiot, tornò in quelle terre dopo la guerra, per raccogliere le testimonianze di una cultura contadina che stava scomparendo, perché chi era sopravvissuto si riversava nelle valli per lavorare nelle grandi industrie. Il mondo dei vinti, il libro in cui sono confluite le trascrizioni di quelle testimonianze, documenta questo spopolamento e fin dal sottotitolo si suddivide in quattro sezioni: la pianura, la collina, la montagna, le langhe.
Il viaggio di Radis segue idealmente le tracce di Revelli, e per la sua seconda edizione si concentra sul paesaggio delle Langhe, nel Comune di Dogliani.
L’agglomerato urbano di Dogliani è diviso in due parti: il Borgo, situato nella parte bassa, e il Castello, posto su un’altura che conserva ancora quasi intatta la sua fisionomia di «ricetto» medievale. Il Comune di Dogliani conta 4.645 abitanti e ha una superficie di 35, 85 kmq. La sua posizione geografica lo rende pressoché equidistante da città di maggior importanza come Mondovì, Alba e Bra, ma è circondato da numerosi piccoli paesi che hanno reso Dogliani il principale riferimento di un ampio territorio.
La città ha una fitta offerta culturale. Per citare solo due esempi, qui da oltre dieci anni si svolge il partecipatissimo Festival della Tv e dei Nuovi Media, e qui ha sede la Biblioteca civica «Luigi Einaudi», donata al Comune da Giulio Einaudi in memoria del padre, importante economista e primo Presidente della Repubblica Italiana. L’edificio è un progetto all’avanguardia, firmato dall’architetto Bruno Zevi, che disegnò una struttura permeabile, senza muri, in cui le scaffalature dei libri creano delle partizioni mobili, che scorrendo permettono di ottenere un auditorium da cento posti a sedere.
Torre dell’orologio e Chiesetta e Ritiro Sacra Famiglia © Gilberto Rosso
Vista su Dogliani Borgo da Piazza Belvedere, © Gilberto Rosso
Borgata Valdibà, © Andrea Guermani
Quando ho visitato Dogliani alla ricerca del luogo dove posizionare la nuova opera, ho capito che avrei dovuto guardare fuori dalla città per trovare il posto giusto. Dogliani è bellissima e molto curata, ricca di monumenti e punti panoramici: posizionare un’opera in quel contesto sarebbe stato equivalente a qualsiasi altro intervento di arte nello spazio pubblico. Nulla da eccepire, ma Radis è il tentativo di cercare l’opera giusta per il luogo giusto, al punto che la vita della prima sia indissolubilmente legata alla vita della seconda, e viceversa. Così ci siamo rimessi in viaggio, per mappare i dintorni di Dogliani.
Dogliani si trova nel centro delle Langhe sud-occidentali. In dialetto piemontese il termine langa indica la cresta assottigliata di una catena collinare e, come è facile intuire, significa lingua. E in effetti la cittadina è circondata da colline che, per la forma affilata delle dorsali, sono simili a lingue, le cui pendici sono pettinate dai filari di vigne a perdita d’occhio, mentre in cima a ogni cucuzzolo sorge un piccolo agglomerato di case, identificate dai cartelli stradali come «borgata», l’entità minima con cui è possibile definire una località abitata.
La Borgata Valdibà si trova in un punto panoramico nel cuore di quest’area, lungo una strada che conduce da Dogliani a Monforte d’Alba. Arrivando dalla città il primo edificio che si staglia dopo una serie di curve è la Chiesa di San Bartolomeo. Addossata alla chiesa c’è la canonica, e subito dietro sorge un piccolo edificio a due piani che tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta è stata la scuola di borgata, il punto di riferimento per le bambine e i bambini del territorio circostante. Al piano inferiore un’unica stanza ospitava una multi-classe, composta da bambini tra i sei e i dieci anni che arrivavano a piedi, portando da casa la legna per la stufa d’inverno.
Borgata Valdibà, © Andrea Guermani
L’edificio, in disuso dagli anni Settanta, è pericolante e non più agibile, ma intrufolandosi dalla porta sfondata, a proprio rischio e pericolo si possono ancora vedere i mobili e le stufe che arredavano la scuola. Tra questi, la mia attenzione è stata catturata da alcuni banchi abbandonati e ormai distrutti. Conoscevo la storia di Petrit Halilaj e di come era arrivato a ideare la serie di sculture intitolata Abetare. Dopo aver studiato a Brera era tornato in Kosovo, a Runik, il paese dove era cresciuto, e aveva scoperto che la sua scuola elementare stava per essere demolita e il mobilio dismesso. Tra le cataste di arredi scolastici, impilate fuori dall’edificio, l’artista si era messo a fotografare i disegni e le incisioni fatte sui banchi da generazioni di bambini e bambine. Quel primo gesto istintivo è diventato un archivio con centinaia di disegni dai banchi di tutti i Balcani, da cui Halilaj trae ispirazione per comporre sculture in grande formato che fanno parte della serie Abetare, che prende il titolo dall’abecedario di lingua albanese ancora adottato nelle scuole di quella regione. I pochi tratti dei disegni incisi sui banchi diventano linee fatte di acciaio che compongono sculture che si sviluppano in altezza ma non in profondità, lasciando intuire la loro origine bidimensionale. Le sculture mantengono una grande leggerezza visiva, perché per la natura del disegno che le ispira non ha pieni ma solo contorni, rendendole permeabili col paesaggio. L’opera di Halilaj per la Borgata Valdibà unisce in un’unica opera disegni dall’archivio dell’artista e disegni trovati sui banchi di Dogliani: al posto della scuola sorge una casetta stilizzata che si staglia sul paesaggio delle Langhe, abitata da creature di ogni genere, di cui ogni bambino o bambina della zona, anche se diventati adulti, potrà intestarsi l’autorialità.
Arriva nelle Langhe il progetto che l’artista kosovaro porta avanti da quasi quindici anni. Per la seconda edizione di Radis, al posto di una piccola scuola di borgata, in disuso dagli anni Settanta, una scultura permanente di Halilaj si integrerà con il paesaggio che abbraccia le Alpi e le colline
Sesta puntata del «Diario di Radis», dedicata al racconto dell’opera realizzata da Giulia Cenci per il Chiot Rosa, un’opera permanente commissionata dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT e ispirata alle leggende della tradizione contadina che intrecciavano superstizione e religione
Dialogo tra la curatrice Marta Papini e Giulia Cenci, l'artista selezionata per la prima edizione del progetto Radis della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, su foreste, memoria, natura e interferenze