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Waymo disegna la città del futuro con mobilità autonoma, arte urbana e strategie di percezione

Nata nei laboratori di Google e oggi controllata da Alphabet, la flotta di robotaxi statunitensi avvia un programma di wrapping artistico per mediare il rapporto tra tecnologia, intelligenza artificiale e spazio urbano, disegnando un immaginario collettivo, nato nella Silicon Valley, che presto diventerà globale 

Jenny Dogliani

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Nata nei laboratori di Google e oggi controllata da Alphabet, Waymo è una società tecnologica che sviluppa e gestisce veicoli a guida completamente autonoma, progettati per circolare in città reali senza conducente umano a bordo. Le auto che si incontrano per strada — prevalentemente Jaguar I-Pace elettriche, ma anche altri modelli adattati — sono veicoli di serie profondamente trasformati, resi capaci di percepire, interpretare e attraversare lo spazio urbano grazie a un sistema integrato di intelligenza artificiale. Sulla carrozzeria e sul tetto è montata una costellazione di sensori: lidar che mappano l’ambiente in tre dimensioni con impulsi laser; radar che rilevano oggetti e movimenti anche in condizioni di scarsa visibilità; telecamere ad alta risoluzione che leggono segnaletica, semafori, pedoni, ciclisti, gesti. Tutti questi flussi visivi e spaziali vengono elaborati in tempo reale dal cosiddetto Waymo Driver. L’auto non «vede» come un essere umano, ma ricostruisce il mondo come un insieme di dati dinamici, anticipando traiettorie, valutando rischi, scegliendo azioni. Ogni corsa contribuisce a un archivio di milioni di chilometri percorsi, che alimentano l’evoluzione dell’algoritmo e ne raffinano il comportamento. In alcune città statunitensi, Waymo opera già come servizio di robotaxi commerciale, accessibile tramite app, senza volante attivo né conducente di sicurezza. È proprio questa autonomia radicale — l’assenza del guidatore, del volto umano, del gesto riconoscibile — a rendere le auto Waymo oggetti culturalmente complessi. Non sono semplici mezzi di trasporto, ma presenze algoritmiche nello spazio pubblico, infrastrutture mobili che incarnano una visione del futuro urbano fatta di automazione, previsione e controllo. La loro neutralità visiva originaria, bianca e funzionale, rifletteva questa logica ingegneristica. L’intervento artistico agisce allora su questo stesso punto: non sulla tecnologia, che resta invariata, ma sulla sua percezione simbolica, su ciò che queste macchine rappresentano quando attraversano la città e vengono guardate, fotografate, condivise. 

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Nel 2025 Waymo ha dato vita a un programma diffuso di wrapping artistico della sua flotta — rivestimenti grafici applicati direttamente sulla carrozzeria - che trasformano i veicoli in vere e proprie «tele», superfici narrative, spazi di interazione simbolica con la comunità. A Phoenix, per esempio, street artist come Nicole Poppell e Stormy Mae hanno tradotto in segni visivi elementi naturali, figure femminili, fiori, uccelli stilizzati e pattern che evocano un desiderio di bellezza quotidiana, quasi un omaggio alla città che li ospita. Dalla comunità creativa di Los Angeles sono arrivati invece interventi come quelli di Ashley Dreyfus, che ha portato sulle fiancate dei robotaxi animali neon-colorati, funghi, alberi e creature immaginarie, condensando una pluralità di citazioni visive contemporanee in una forma mobile e in continuo divenire. Tra gli artisti coinvolti figura anche Tommii Lim, autore di una serie di personaggi visivi concepiti come mascotte narrative, capaci di imprimere un tratto ludico e immediatamente riconoscibile alle strade della città. Questi interventi superano la dimensione decorativa per attivare una relazione tra tecnologia e contesto urbano. Il wrapping non agisce come semplice rivestimento, ma come spazio di contatto simbolico tra il robotaxi e le comunità attraversate, offrendo un tempo di attenzione e di riconoscimento che la sola prestazione tecnologica difficilmente potrebbe generare. Il loro valore risiede proprio in questa capacità di restituire una dimensione umana a un oggetto che rischierebbe altrimenti di restare un’icona astratta della Silicon Valley. Gli artisti non si limitano a intervenire sulla superficie dei veicoli, ma traducono visivamente le città: la leggerezza organica di Phoenix, le figure antropomorfe e immaginative di Los Angeles, forme che si innestano negli immaginari locali e costruiscono un ponte simbolico tra automazione e vita quotidiana. In questa prospettiva, la scelta assume un peso strategico anche sul piano del branding. Mettere in circolazione icone visive riconoscibili e condivisibili significa sottrarre la mobilità autonoma a una narrazione puramente tecnica e restituirle una presenza leggibile nello spazio pubblico. Il veicolo non è più soltanto un supporto tecnologico, ma un dispositivo di esperienza urbana, capace di tenere insieme ingegneria avanzata e cultura visiva. L’arte, in questo spazio di interazione, non definisce semplicemente un’identità estetica, ma accompagna la tecnologia nel suo ingresso nella vita collettiva. Waymo non propone solo un servizio di trasporto, ma un modo di abitare la città, in cui la macchina autonoma diventa cittadino visivo e il paesaggio urbano risponde attraverso forme, colori e narrazioni che ne riflettono l’identità.

Jenny Dogliani, 17 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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