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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoliZurigo (Svizzera). La Kunsthaus Zürich propone fino al 26 aprile la mostra «La poesia della linea. Disegni dei Maestri italiani» che presenta al pubblico la preziosa collezione museale di circa 30 disegni italiani fra Rinascimento e Barocco, con opere da Guercino a Correggio, a Carlo Maratti e altri. Una collezione perlopiù inedita e mai presentata al pubblico, a parte i celebri disegni di Raffaello per le Stanze Vaticane e la Lucrezia di Palma il Vecchio, che è stata recentemente sottoposta a un approfondito studio da un’équipe dell’Università di Zurigo, guidata da Jonas Beyer con Michael Matile, che proprio nella mostra presenta i suoi risultati. Di fatto la collezione grafica è stata ribaltata da capo a piedi e trasformata in un laboratorio in cui gli studiosi hanno letteralmente affrontato i disegni in una sorta di «corpo a corpo» epistemologico e critico per confermare o rivoluzionare l’attribuzione artistica, per localizzare ciascun disegno nei paesaggi culturali che effettivamente gli corrispondono, per verificarne provenienze e vicissitudini. Cruciali sono stati i numerosi commenti scritti a mano sui passepartout delle opere a dimostrare come questo «incontro ravvicinato» fosse già stato realizzato in passato da numerosi e noti ricercatori internazionali: da Marco Simone Bolzoni e Chris Fischer a Catherine Goguel a Joachim Jacoby. I loro nomi, le loro attribuzioni e le loro annotazioni sono serviti da linee guida per queste nuove ricerche di approfondimento. In mostra, tuttavia, la lettura specialistica della collezione e la fortuna tattile del contatto diretto con l’originale, il sesto senso dello studioso che guida l’interpretazione della struttura di un foglio, tutti cedono il passo allo splendore sensuale dei ritratti, dei paesaggi e delle scene mitologiche o cristiane rappresentate e che, riuniti in pochi piccoli ambienti, investono quasi fisicamente il visitatore con la loro magia estetica. Nella foto, «Cacciata dal Paradiso di Adamo ed Eva» (1602-03) di Giuseppe Cesari (detto il Cavalier d’Arpino).
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