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«Cleopatra» (1887 ca), di John William Waterhouse (particolare). Collezione privata. Foto tratta da Wikimedia Commons. CC 2.0

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«Cleopatra» (1887 ca), di John William Waterhouse (particolare). Collezione privata. Foto tratta da Wikimedia Commons. CC 2.0

Il fenotipo di Cleopatra

Se non possiamo determinare il livello di melanina e tantomeno l’insieme dei tratti somatici della regina d’Egitto, la linea del suo naso riprodotta nella monetazione rimanda piuttosto a etnie caucaso/semitiche che africane

Luca Battaggia Geromin

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Ho letto con interesse l’articolo di Francesco Tiradritti «Perché Cleopatra non può essere nera». Tuttavia, di fronte alle granitiche «certezze» del professor Tiradritti in ordine ai caratteri fenotipici della regina lagide, ritengo che l’attuale dibattito sul carattere fenotipico degli antichi Egizi non costituisca un elemento d’interesse storico, ma risponda invece alle esigenze politiche del mondo odierno, dinamiche che non dovrebbero mai orientare o condizionare gli studi storici.
In breve: non conosciamo l’origine etnica e i caratteri fenotipici di tutta l’ascendenza matrilineare della dinastia tolemaica (lagide) di cui faceva parte la regina Cleopatra VII. Pertanto, considerato che ogni individuo eredita solo metà dei geni di ogni genitore, non possiamo determinare il livello di melanina e tantomeno l’insieme dei tratti somatici (cosiddetti caratteri fenotipici), non solo della componente femminile della dinastia lagide (quanto era macedone, antico egizia e delle altre dinastie mediorientali con cui si sono incrociati i Lagidi?), ma ancor meno di quella maschile successiva originata dalle generazioni precedenti in cui tale commistione interetnica (e quindi genetica) è probabilmente avvenuta.

Venendo invece alla sola componente «autoctona» dell’Antico Egittto, non conosciamo il grado di «genetic admixture» degli antichi Egizi in epoca storica (da Narmer-Menes a Cleopatra VII) per il semplice motivo che la stessa ha avuto una grandissima variabilità diacronica e territoriale per i contatti che avvenivano con le popolazioni del Medio Oriente e mediterranee a est e a nord, con quelle a ovest con l’area occupata oggi dalla Libia (Cirenaica e oltre) e a sud con la popolazione dell’antica Nubia (e attraverso le oasi sud-orientali e con popolazioni africane dell’attuale Ciad in un’epoca pre-storica in cui il Sahara era una savana e non un deserto): tali considerazioni dovrebbero sconsigliare manifestazioni granitiche che escludono determinate gradazioni della pelle o determinati tratti somatici e che tradiscono, in ultima analisi, il riflesso di contrapposizioni moderne piuttosto che una seria analisi storica.

Che aspetto avevano gli antichi Egizi? Sappiamo da alcuni rilievi parietali che si rappresentavano con una pelle più scura delle popolazioni mediorientali o libiche e più chiara di quella nubiana, ma tale rappresentazione non dovrebbe supportare granitiche certezze, avendo tali scelte artistiche un carattere più convenzionale che scientifico (come quella delle donne egizie, ritratte con pelle più chiara rispetto agli uomini egizi della stessa etnia). Ciò non esclude che una parte di antichi Egizi, per via dei millenari rapporti con le popolazioni «nubiane» e i flussi migratori lungo la valle del Nilo e nel Sahara predesertico antecedente all’epoca storica, possa aver avuto una pelle scura e tratti africani: in un primo tempo nella parte meridionale del Paese e successivamente nei 3mila anni dell’Egitto dinastico per via delle migrazioni all’interno e nel resto del Paese.

Venendo invece agli afroamericani, se è pacifico che gli stessi abbiano un’origine nell’Africa occidentale, le etnie «di origine» dell’Africa occidentale presentano una variabilità etnica, linguistica, fenotipica e genetica (peraltro maggiore dell’Europa, si vedano gli studi di Cavalli Sforza) e pertanto stilare comparazioni tra livelli di melanina tra neri afroamericani e antichi Egizi appare un esercizio sempre vacuo sia in un senso che nell’altro. Non si può escludere che alcuni antichi Egizi avessero una pelle molto scura (che negli Stati Uniti verrebbe classificata ai fini censuari come «black») e altri meno. Insomma, un dibattito senza capo né coda, considerato che le moderne categorie e classificazioni non avevano alcun interesse per la rappresentazione sociale degli antichi Egizi.
Luca Battaggia Geromin

La risposta dell’autore
Egregio signor Battaggia Geromin,
la ringrazio per la sua lettera e confesso la mia ignoranza. Il libro che menziona (Ancient Egyptian and Afroasiatic. Rethinking the Origins, di M.V. Almansa-Villatoro e S. Stubnová Nigrelli, 364 pp., Eisenbrauns, Pennsylvania 2023) non l’ho mai letto e le sono grato per avermelo segnalato. Mi sfugge comunque il nesso tra l’argomento in esso trattato e l’aspetto fisico di Cleopatra. Non mi risulta infatti che la lingua parlata da un individuo abbia un’influenza sul colore della sua pelle o su altre caratteristiche fisiognomiche. Mi consenta anche di dirle che la mia affermazione che Cleopatra non fosse meticcia (come l’attrice della serie Netflix) non sia affatto «granitica». La definirei piuttosto «argentea» o «bronzea». La desumo infatti dalla monetazione a nome della celeberrima regina dove, malgrado le ovvie differenze tra conio e conio, il naso ha un’evidente preminenza sul resto del volto e possiede una forma che rimanda piuttosto a etnie caucaso/semitiche che africane. È possibile che, qualora fosse il frutto di uno o più matrimoni misti, Cleopatra potesse avere avuto la pelle più scura di una tipica ragazza macedone; difficile, però, che il suo incarnato superasse il IV grado della scala Fitzpatrick.
Francesco Tiradritti
 

«Cleopatra» (1887 ca), di John William Waterhouse (particolare). Collezione privata. Foto tratta da Wikimedia Commons. CC 2.0

Luca Battaggia Geromin, 19 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

Il fenotipo di Cleopatra | Luca Battaggia Geromin

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