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Il Ponte delle Teste Mozze

Silvia Mazza

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Gli scavi realizzati dalla Soprintendenza in occasione della nuova linea del tram, da settembre 2013 a oggi, lungo una delle arterie principali per accedere al centro cittadino, corso dei Mille, stanno restituendo preziose informazioni su Palermo in età araba

Sono state messe in luce diverse strutture murarie riferibili a questa fase, da cui provengono materiali ceramici datati al X-inizi XI secolo, e una porzione di necropoli, composta da 30 inumazioni. Quest’ultima presenta caratteristiche particolari: «Le tombe, spiega l’archeologa della Soprintendenza Giuseppina Battaglia, sono allineate e non si sovrappongono; diverse si appoggiano e tagliano alcune delle strutture murarie precedenti; in 23 casi l’inumato è in posizione supina, deposto entro cassa lignea, come attestato dai grandi chiodi di ferro che delimitano ciascuno scheletro; quattro scheletri invece sono in decubito laterale, privi della cassa». Due tombe presentano una tipologia più monumentale: si tratta di «una fossa scavata nel banco roccioso, foderata da lastre litiche, alcune con tracce di intonaco, e l’inumato deposto entro cassa lignea, il tutto coperto da lastre litiche poste a doppio spiovente». Assente qualsiasi oggetto di ornamento personale, ad eccezione di uno «estremamente raro: un flacone per profumo in vetro bianco e blu cobalto, di produzione siriana o egiziana, databile all’incirca al XII secolo, già esposto al Museo dell’Islam presso il palazzo della Zisa».

Lo studio dei resti antropologici è in corso. Le tombe, inoltre, erano ricoperte da una strada da mettere in relazione con la costruzione del Ponte dell’Ammiraglio avvenuta intorno agli anni Trenta del XIII secolo. Lo scavo ha consentito di effettuare anche un’altra scoperta importante, riportando alla luce il Ponte delle Teste Mozze (fino al 1860 su un cippo venivano esposte le teste dei giustiziati come monito per chi arrivava in città), che si riteneva fosse stato abbattuto, quando negli anni Trenta del Novecento era stato deviato e canalizzato il corso del fiume Oreto. È su questo ponte che i Mille garibaldini si scontrarono con le truppe borboniche nel maggio di quello stesso anno. Data l’importanza del monumento, e non potendo ormai modificare il tracciato tramviario, verrà protetto da una struttura che lo ingloberà, permettendone anche la fruizione. Tutti gli altri ritrovamenti, invece, sono stati lasciati in loco e già ricoperti dai binari del tram, alle cui fermate sono previsti dei pannelli illustrativi.

Altri scavi, invece, condotti nell’ex reclusorio femminile (1749) di via Benedettini, nei pressi di San Giovanni degli Eremiti, in una zona in cui è attestata la presenza degli zingari fin dalla fine del XV secolo, gettano luce sull’età islamico–normanna. «Alla notevole profondità di circa m. 6,50, spiega l’archeologa Carla Aleo Nero, sono stati individuati strati di età normanna (pavimento in cotto) e forse tracce ancora più antiche, risalenti all’ultima età islamica». Tali strutture «sono obliterate da un potente riempimento che innalza il livello di almeno 2 metri», da ricollegare alla presenza di «una zona destinata alle colture agricole, un “giardino” che fu in uso tra XIII e XVI secolo».

Problematico, invece, il rinvenimento in un pozzo di «materiali di età islamica e anche di numerosi crogioli in materiale refrattario, recanti evidenti tracce di lavorazione del bronzo». Infatti, prosegue l’archeologa, «per una serie di considerazioni stratigrafiche sembra che i crogioli possano datarsi, al più tardi, all’età islamica. Tuttavia, occorrerà escludere del tutto l’eventualità che le tracce metallurgiche possano  provenire da “inquinamenti” dovuti alle attività di epoca successiva, in quanto si sa che gli zingari erano noti per la loro attività di fabbri e forgiatori». In conclusione, gli scavi permettono di affermare che in quest’area urbana «fossero dislocate alcune attività artigianali (produzione di vasellame, attività metallurgiche) che tradizionalmente si impiantavano ai margini della città vera e propria, in quanto altamente inquinanti».

Le nuove acquisizioni archeologiche sono state presentate dalla Soprintendenza nell’ambito del ciclo di incontri con cui da qualche anno l’istituto preposto alla tutela  di Palermo si segnala, tra gli altri, per l’attenzione posta a un’intensa comunicazione dei dati più recenti sulla propria attività.


Silvia Mazza, 21 aprile 2015 | © Riproduzione riservata

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