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Michela Moro
Leggi i suoi articoliMassimo Minini ha aperto la prima galleria nel 1973, guardando all’Arte concettuale, all’Arte povera e al Minimal. Nel tempo la lista si è allungata fino a contenere i temi più urgenti dell’arte contemporanea e quasi tutti i nomi di rilievo internazionale come Ettore Spalletti, Jan Fabre, Anish Kapoor, Alberto Garutti, Salvo, Luigi Ontani, Maurizio Cattelan, Boetti, Accardi, Fabro, Paolini, LeWitt, Graham, Buren e anche Yona Friedman, Peter Halley, Ghada Amer e Tino Sehgal.
Per illustrare la mostra dedicata a John Hilliard, artista concettuale britannico nato nel 1945, non c’è niente di meglio che le parole del gallerista, eccellente raconteur: «John pratica da sempre una fotografia ambigua. A prima vista non si capisce bene cosa stia succedendo. Il suo lavoro ha bisogno di tempo per essere capito, minimi spostamenti di immagine e di senso si sovrappongono lentamente a formare l’immagine finale del lavoro, ammesso che ne esista una, non due, tre. John sposta le grandi e le piccole fotografie nel suo studio. Le guardiamo e commentiamo una a una. Mi accorgo che molte formano una coppia, ogni lavoro rimanda a un secondo, o forse viceversa. Gli comunico questa mia impressione. Man mano che le opere si mostrano, sempre più «coppie» appaiono: due uomini su una soglia, ma in tempi e pose leggermente diversi; due castelli sulla collina; due cavalli nella brughiera. Questa storia comincia a intrigarmi. Propongo che la mostra (e il libro) si basino su questo dualismo. Mentre spostiamo opere uno scoiattolo entra e mangia briciole per terra. Parto con questo racconto di opposti in testa. John ci deve pensare. Alla fine anche lui é convinto. A volte uno sguardo esterno porta una lettura che sorprende persino l’autore».
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