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Laura Giuliani
Leggi i suoi articoliUn viaggio di seimila anni a ritroso nel tempo scandito da sei metri di stratigrafia di scavo, un museo archeologico contemporaneo dove la cultura materiale al suo interno viene raccontata attraverso pannelli digitali e installazioni tridimensionali e la ricerca scientifica viene condivisa con la comunità locale.
Tutto questo, e molto altro, si trova racchiuso nel Megamuseo di Aosta, l’estesa area megalitica di Saint-Martin de-Corléans, ai margini del capoluogo valdostano, scrigno straordinario di imponenti megaliti che trovano confronti nel sito svizzero di Sion. Inaugurata nell’estate 2016, poi chiusa al pubblico e riaperta alle visite a fine 2023 con un nuovo allestimento, l’area museale è al centro di una rivoluzionaria valorizzazione all’interno del tessuto urbano e nel più ampio sistema della Valle.

Una veduta dell’allestimento del Megamuseo di Aosta. Foto: Enrico Romanzi
I numeri che caratterizzano il Megamuseo di Aosta sono altrettanto grandiosi: 18mila metri quadrati di spazi espositivi, 5mila metri quadrati di area archeologica e oltre 2mila reperti, suddivisi su tre piani, che si dipanano lungo un ampissimo arco cronologico. Il luogo di per sé è straordinario perché insiste in ambito urbano, ma nell’antichità si trovava in prossimità di corsi d’acqua in una posizione geograficamente strategica. Vi si praticavano riti e cerimonie e le sue origini affondano nel Neolitico, alla fine del V millennio a.C. La frequentazione del sito poi prosegue nell’Età del Rame (IV-III millennio a.C.), continua seppur con qualche interruzione nell’Età del Bronzo (II millennio a.C.) e in quella del Ferro (XI-I secolo a.C.), fino all’età romana e al Medioevo con la piccola chiesa di Saint-Martin de-Corléans che soppianta il luogo di culto funerario e pagano. Un giacimento stratificato che racconta i riti dei vivi nelle epoche più antiche quando era utilizzato come area cultuale a cielo aperto, e le sepolture dei morti con le tombe costruite nell’Età del Bronzo lungo gli allineamenti dei pali e delle stele che in origine avevano funzione rituale. Scoperto per caso nel 1969 in occasione di lavori per la realizzazione di unità abitative, il sito è protetto da un moderno edificio appositamente costruito a partire dal 2005. All’epoca, a intuirne subito la formidabile importanza fu il veronese Franco Mezzena insieme con l’archeologa Rosanna Mollo.
Oggi le ricerche proseguono grazie a un gruppo diversificato di specialisti e dal novembre 2024 all’archeologo Generoso Urciuoli è stata affidata la gestione del museo e di tutte le attività culturali e scientifiche. Nell’area archeologica si studia la cronologia delle orme dei bovini la cui retrodatazione di circa mille anni, se fosse confermata, permetterebbe di retrodatare anche l’uso dell’aratro: i solchi dell’aratura rituale del Neolitico sembrano oggi opere d’arte contemporanea. Le grandi fosse circolari al momento della scoperta contenevano ancora semi di cereali e grandi macine per la molitura forse a invocare copiosi raccolti, mentre la sequenza delle buche di pali lignei è ciò che resta dell’allineamento di stele antropomorfe e menhir pertinenti a un santuario preistorico. Simulacri destinati alla venerazione? Non è dato saperlo con certezza. L’interpretazione è ancora dibattuta e molti dubbi restano da risolvere. Menhir, lastre e stele, insieme a tutti gli altri reperti ossei e ceramici, hanno trovato posto nelle sale del museo che di recente ha ampliato la sua curva temporale e la superficie espositiva anche con la sezione romana e altomedievale e i tantissimi materiali provenienti dalle necropoli e dalla fattoria che sorse in quella zona.
Tra le svariate iniziative di primavera al Megamuseo, il 12 aprile prende il via (fino al 26 luglio) «Arature Sonore», la rassegna a cura di Fabrizio Vespa che trae ispirazione proprio dai solchi millenari di seimila anni fa in un singolare connubio tra archeologia e musica grazie alle performance di artisti e musicisti. A maggio, invece, è previsto un laboratorio di scrittura creativa in quattro incontri, mentre a giugno, in occasione delle Giornate europee dell’archeologia (14-16 giugno), porte aperte al cantiere di scavo dell’Età del Ferro (VIII-VI secolo a.C.) insieme agli archeologi e al preparatissimo staff del Megamuseo. Quest’ultimo è sempre disponibile a brevi introduzioni alla visita (ogni 30 minuti) e a due appuntamenti al giorno («A spasso nel tempo»), dal martedì alla domenica.

Una veduta dell’allestimento del Megamuseo di Aosta. Foto: Enrico Romanzi
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