Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliBologna. La mostra a Palazzo Fava «La riscoperta di un capolavoro. Il Polittico Griffoni» è stata sospesa a un soffio dall’inaugurazione per l’emergenza da Covid-19, ma sappiamo già che quella che ci attende ora dal 18 maggio è un’occasione epocale. «La riscoperta di un capolavoro», infatti, è un evento che resterà probabilmente irripetibile. Nell’epico racconto di un «ritorno a casa», nel mistico ritrovarsi di quel gruppo di santi eleganti e solenni, una squadra di campioni spirituali «riconvocata» dopo quasi 300 anni, c’è, infatti, il sapore dell’impresa memorabile.
C’è, insomma, grande attesa, a Bologna, nell’accogliere questa mostra, che segna un momento epocale nella storia e negli studi su un’opera ritenuta fondamentale per comprendere la qualità, erudita e sperimentale, del Quattrocento emiliano. Il Polittico Griffoni, commissionato alla fine del ’400 dai membri di un’eminente famiglia bolognese, i cui volti sono rivelati nelle effigi di san Floriano e santa Lucia, è il frutto della stretta collaborazione tra due artisti ferraresi dall’espressività potente e raffinata, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, che avevano operato alla corte estense.
Un’opera ben raccontata dalle fonti storiche prima della dispersione, ora di nuovo esposta poco lontano dalla Basilica di San Petronio e dalla cappella gentilizia da cui fu allontanata nel 1725. Rimossi dalla cornice originale (ora perduta), che in origine li univa in una grande architettura di aureo splendore, trasformati in singoli quadri da stanza dal prelato Pompeo Aldrovandi, poi separati dal destino e a lungo in viaggio in preda alle correnti del mercato antiquario internazionale, i 16 pannelli superstiti sono infine approdati in 9 musei, tra i quali la National Gallery di Londra, il Louvre di Parigi e i Musei Vaticani, che li custodiscono (e che hanno prorogato i prestiti, Ndr).
«L’intreccio di interessi scientifici e relazioni umane che ha permesso di realizzare questa mostra è stato delicato e avvincente, ricorda il curatore Mauro Natale, perché non va dimenticato che dietro questo allestimento c’è un lavoro di oltre due anni, che ha coinvolto una comunità di direttori di musei ed esperti i quali, non senza qualche comprensibile tentennamento, hanno finalmente acconsentito al prestito, riconoscendo il valore dell’iniziativa e considerandola una grande opportunità per la divulgazione, ma soprattutto per l’analisi e persino per l’auspicabile ritrovamento delle parti ancora mancanti».
Anche a questo, in fondo, servono le occasioni espositive, che riaccendono i riflettori su questioni ancora aperte. «La mancanza di una parte dei piccoli santi che in origine decoravano i pilastri laterali su entrambi i registri del polittico non compromette la leggibilità complessiva dell’opera, spiega Cecilia Cavalca, curatrice e da tempo impegnata nello studio dell’ipotesi ricostruttiva, ma la mancanza di alcuni elementi riporta l’attenzione sull’importanza della relazione tra l’insieme e le parti, offrendo la possibilità di riflettere sulla complessità semantica della sofistica macchina d’altare. Solo se si riesce a restituire un’attendibile relazione tra i diversi elementi che in origine componevano l’ancona si può infatti sperare di recuperare il significato espressivo più profondo dell’opera».
Il dispositivo della collocazione delle figure, studiato a partire dalla fine dell’800 da storici dell’arte di rilievo, fu quasi perfettamente messo a punto tra gli anni ’30 e ’40 del ’900 da Roberto Longhi in pagine memorabili della sua Officina Ferrarese, come viene testimoniato in mostra, anche attraverso la presentazione di materiali di lavoro, inediti, utilizzati dallo studioso per metterla a punto.
Oggi, grazie allo studio dei dipinti che componevano l’insieme con l’ausilio della strumentazione diagnostica e della riconsiderazione della foggia dell’ancona (testimoniata da un disegno settecentesco) con l’ausilio di programmi di grafica digitale è stato possibile perfezionare la proposta longhiana, e proporla nel contesto di una più ampia rilettura del ’400 a Bologna, un secolo il cui splendore ha lasciato tracce rilevanti ma discontinue, soprattutto per le numerose dispersioni e perdite subite dal patrimonio storico artistico dell’età dei Bentivoglio.
Alla raffinatezza della città bentivogliesca, dunque, ci riporta felicemente questa esposizione, che si propone come occasione di studio e contemplazione dei singoli elementi, esposti ad altezza di sguardo, per consentire al pubblico di apprezzarne i dettagli cherivelano la mirabile complessità culturale del Rinascimento emiliano. Una mostra volutamente concentrata e filologica, dove a incantare è la rara qualità degli originali, con l’unica concessione alla spettacolarizzazione offerta dalla perfetta copia del polittico realizzata dalla Factum Foundation di Adam Lowe, che utilizza le più avanzate tecnologie di scansione e riproduzione in 3D di grandi opere del passato per farle rivivere.
E poiché l’idea di riunire la grande opera è stata promossa da Fabio Roversi Monaco, presidente e anima di Genus Bononiae, la mostra si ambienta vicino al fregio affrescato da Annibale, Agostino e Ludovico Carracci a Palazzo Fava, un luogo dove l’incanto della bella pittura rinascimentale trova continuità con l’opera dei suoi più tardi eredi cinquecenteschi.
Accompagna la mostra una pubblicazione (Silvana Editoriale) che, attraverso i contributi dei curatori e di diversi studiosi, indaga ad ampio raggio il contesto, la committenza, la vicenda dello smembramento e della dispersione, fino alla lettura longhiana dell’opera, proponendo un accurato riesame della sua vicenda storica e filologica; impreziosisce il volume un’ampia ricognizione documentaria e iconografica.
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