Aperto da circa due anni, lo spazio indipendente veneziano Panorama opera sotto la direzione curatoriale di Giovanni Paolin. Propone collaborazioni internazionali con artisti, all’inizio o nel pieno della loro carriera, le quali spesso prendono la forma di residenze artistiche. Il progetto facilita uno stretto contatto con la comunità locale così da instaurare un rapporto, tra gli artisti invitati e la laguna, che prescinda dalla fruizione fugace tipica del turismo di massa che affolla la città. È questo il contesto che ha accompagnato il lavoro di ricerca precedente all’inaugurazione di «Pistils embedded under nails. Allowing oneself to be accompanied, nude scent reassures», la personale dell’artista italo-sloveno Luca Vanello (Trieste, 1986), aperta fino al 5 aprile.
In vista della mostra, Vanello ha passato alcuni periodi a Venezia per individuare e poi raccogliere piante da giardini nel territorio lagunare selezionando in particolare tutti quei luoghi che potessero ricondurre al concetto di cura secondo un sapere vernacolare, come nel caso del Giardino Mistico degli Scalzi, dove i frati Carmelitani producono l’Acqua di Melissa, un rimedio secolare con effetti terapeutici e digestivi, o legato alle scienze contemporanee, come per il Giardino Savorgnan, dove sono state recentemente condotte alcune misurazioni dei campi bioelettromagnetici generati dagli alberi, con lo scopo di indagare la loro influenza benefica sull’organismo umano.
Come racconta già il titolo della mostra, che tradotto recita «Pistilli incastrati sotto le unghie», l’artista ha affondato le sue mani in mucchi di vegetazione recisa per selezionare alcuni arbusti e altri scarti. È intervenuto poi nel ciclo di piante, altrimenti destinate alla decomposizione, attraverso un processo che gli ha permesso di estrarre la clorofilla. Rimangono oggi, in vista a Panorama, rami e foglie dalle tonalità tenui, quasi del colore con il quale ci si immaginerebbe che potrebbe materializzarsi un fantasma. Una foglia alla volta, l’artista ha oleato le piante per poi disporle a diverse altezze, sospese alle pareti della galleria con colla trasparente o impercettibili calamite.
Quando Panorma è aperta al pubblico diventa possibile inserirsi in questo paesaggio artificiale progettato da Vanello, che occupa interamente i 20mq dello spazio. Un occhio attento potrebbe improvvisamente accorgersi che la solitudine provata inizialmente di fronte a questa vegetazione è in realtà solo apparente. Emergono allo sguardo minuscole forme solide dalla tonalità opaca e dalle forme aliene, difficilmente identificabili in un oggetto di uso comune. Vanello mi racconta che sono frammenti realizzati con la stampa 3D di protesi (o parti di esse) per animali che ha trovato online e open source e deciso di aggiungere a queste sue composizioni tanto fragili quanto perenni, grazie alle tecniche di conservazione applicate.
Per chiunque si trovi sulle fondamenta di San Marco, Panorama si affaccia sul campiello San Zulian, un luogo di passaggio obbligato tra varie destinazioni sulle mappe dei turisti e, chiaramente, anche dei veneziani che lavorano in quel settore. Lungo questa traiettoria, che viene percorsa spesso in maniera sbadata e a passo veloce, chi per visitare un luogo, chi per raggiungere il posto di lavoro, le tre ampie vetrine di Panorama appaiono come una presenza inaspettata e sfuggente. Queste appiattiscono la prospettiva rivelando ai passanti non tanto le opere come entità singole, che l’artista stesso chiama «frammenti» e a ciascuna delle quali ha assegnato un proprio numero, quanto un composito paesaggio vegetale tridimensionale dalle tinte lunari.
L’assenza della presenza umana all’interno di un paesaggio è una caratteristica che raramente si è vista nella pittura se non a partire dal Settecento, quando il paesaggio, dall’essere considerato semplicemente come uno sfondo rispetto alle azioni umane, diviene finalmente un soggetto autonomo, in sé stesso, un «genere pittorico». Vanello, che non per caso ha iniziato la sua carriera come pittore, per poi formarsi in scultura presso la Slade School of Fine Art di Londra, dimostra di applicare un ragionamento di tipo pittorico anche nelle sue installazioni; generalmente, l’artista pone l’attenzione verso la composizione e le variazioni cromatiche che definiscono questi suoi assemblaggi multimateriali.
Mi immagino che se paragonassimo le installazioni di Vanello a un genere pittorico questo non sarebbe certo la pittura di paesaggio come si manifestò attraverso l’opera dei vedutisti veneziani nel Settecento. Piuttosto, sarebbe una pittura che approccia il paesaggio con una sensibilità prossima alle tendenze romantiche dell’Ottocento. Quello fu un momento storico in cui la natura venne raffigurata in quanto riflesso della sensibilità dell’artista: un costante punto di contatto in un dialogo introspettivo che potremmo definire scherzosamente come un interspecismo ante litteram.
Alla luce delle vicende del XXI secolo, con una sesta estinzione di massa in corso e una diffusa ecoansia, in questo caso, la natura riflette non tanto la soggettività dell’artista in quanto individuo ma una soggettività collettiva che si esprime in una preoccupazione ambientale condivisa. Rispetto a questa, l’artista interroga il ruolo che l’uomo e la tecnica hanno nell’interferire in fragili equilibri che trascendono l’umano, spesso ridefinendone i confini.
Finita la vista, mi allontano con cautela da queste piante. È come se per un attimo avessi fatto parte di questo quadro anche io.
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Luca Vanello, «Pistils embedded under nails. Allowing oneself to be accompanied, nude scent reassures (fragments 8)», 2025. © Luca Vanello
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Luca Vanello, «Pistils embedded under nails. Allowing oneself to be accompanied, nude scent reassures (fragments 5)», 2025. © Luca Vanello