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Elisabetta Matteucci
Leggi i suoi articoliDal 30 settembre all’11 gennaio 2026 il parigino Musée d’Orsay, in collaborazione con il Comune di Milano-Cultura, il Museo del Paesaggio di Verbania, la Galleria d’Arte Moderna di Milano e Csm Cultura, ospiterà la mostra «Paul Troubetzkoy. Il principe scultore» dedicata all’artista italiano (1866-1938), appartenente a un’aristocratica famiglia russa trasferitasi a metà Ottocento in Lombardia.
A curarla saranno Édouard Papet, conservatore generale Scultura del Musée d’Orsay, Anne-Lise Desmas, senior curator e direttrice del dipartimento sculture e oggetti d’arte del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, e Cécilie Champy, conservatrice e direttrice del Musée Zadkine di Parigi. Il Museo del Paesaggio di Verbania che ospita la gipsoteca Troubetzkoy, originatasi dalla donazione effettuata nel 1938 da parte degli eredi dello scultore di oltre 300 sculture, gessi e non, provenienti dai suoi atelier di Neuilly-sur-Seine e di Suna di Novara, contribuirà con il prestito di una quarantina di creazioni, al posto delle quali sarà possibile ammirarne in sede altre solitamente celate al pubblico poiché conservate nei depositi.
Proprio in vista di questa grandiosa monografica, la prima in Francia dedicatagli, lo scorso anno il d’Orsay ha finanziato un’importante azione di restauro di 44 sculture di proprietà del museo di Verbania. Condotta a termine lo scorso gennaio da un’équipe specializzata guidata da Maria Gabriella Bonollo, ha interessato in modo massivo 13 sculture, mentre per le restanti si è trattato di un intervento di manutenzione straordinaria.
La rassegna parigina, costituita da 118 opere tra sculture, dipinti, fotografie e disegni frutto di prestiti nazionali e internazionali (Musée des Beaux-Arts di Parigi, Detroit Institute of Arts e Fine Arts Museums di San Francisco), avrà un’ulteriore tappa nella Galleria d’Arte Moderna di Milano (27 febbraio-28 giugno 2026), con la curatela di Paola Zatti e Omar Cucciniello. L’obiettivo che si prefigge è ripercorrere la vicenda biografica e la straordinaria ascesa professionale, per la quale Parigi giocò un ruolo determinante, di questo «interprete della natura», come lui stesso amava definirsi.
Per tentare di comprendere il processo creativo dell’artista, il cui nome spesso è stato frettolosamente associato a quello di Auguste Rodin o di Medardo Rosso, la mostra presenterà nelle sette sezioni tematiche molti disegni, schizzi e modelli preparatori utili a documentare i diversi stadi di quella sua digitazione rapida e virtuosa dal bozzetto alla versione definitiva.
Autodidatta, poliglotta e convinto seguace del vegetarianismo, Troubetzkoy, liberatosi dall’iniziale influenza scapigliata, riuscì a coniare attraverso piccoli ritratti a figura intera e alcune opere di carattere monumentale, un proprio lessico tramite un approccio con la materia di sorprendente immediatezza espressiva. Le sue creazioni, modellate con estrema rapidità e scioltezza, riescono a raggiungere quel fremito di vita, tanto apprezzato nel 1900 da Vittorio Pica, quell’intensità ed eloquenza interiore che si scorgono nei personaggi tratteggiati con dinamiche pennellate da Sargent o Boldini. I suoi soggetti, liberati dalla costruttiva rigidità della posa, riflettono l’immediatezza fenomenica degli effetti atmosferici grazie alla ricerca degli effetti di luce, allo slittamento dei piani costruttivi e al tocco impressionista.
All’iniziale successo conseguito in Italia attraverso la costante partecipazione alle diverse mostre milanesi di Brera, della Famiglia Artistica e della Permanente, seguì l’affermazione in Russia (1896-1904), a Parigi (1904-08) e negli Stati Uniti. Figlio di un diplomatico, Pyotr, grande appassionato di botanica, e di una cantante lirica newyorkese, Ada Winans, lo scultore, precocissimo nel modellare e disegnare, trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Villa Ada, a Ghiffa, sul versante piemontese del Lago Maggiore, crescendo in un ambiente cosmopolita molto stimolante, animato da letterati e artisti come Eleonora Duse, Alfredo Catalani, Benedetto Cairoli, Eugenio Torelli Viollier, Emilio e Giuseppe Treves, Virginia Dolci Tedeschi, Tranquillo Cremona, Arrigo Boito, Giuseppe Grandi e soprattutto Daniele Ranzoni. Quest’ultimo vi soggiornò ripetutamente nel decennio Settanta collaborando con Pyotr al progetto di un giardino di piante esotiche animato da giochi d’acqua, impartendo lezioni anche ai fratelli Pierre e Luigi.
Fu in questo vivace cenacolo, dove si organizzavano lauti pranzi seguiti da coinvolgenti serate musicali, visitato anche da personalità di fama mondiale come il generale Ulisse Grant o il khedivè d’Egitto Ismail Pascià, che Ranzoni ambientò numerosi dipinti come i ritratti di Ada, «Il Sasso di Ferro e i Pizzoni veduti da Villa Ada sul Lago Maggiore», «Lo châlet di Villa Ada», «Gigi nella serra» e il delizioso «I figli dei principi Troubetzkoy col cane». E ad animare quel microcosmo, quella «dacia» densa di umori e d’intermittenze del cuore lambita dal Lago Maggiore tra Verbania, Intra e Pallanza, scenografia ideale per una novella di Camillo Boito, vi erano anche Vittore Grubicy de Dragon e l’amico Arturo Toscanini, estimatore della pittura divisionista e macchiaiola. Al ritorno da un soggiorno in Russia, nel 1884 Troubetzkoy si trasferì a Milano dove frequentò per un breve periodo gli studi di Ernesto Bazzaro e Donato Bracaglia, stabilendosi in via Solferino.

Paolo Troubetzkoy, «Le Cocher russe», 1898, Parigi, Musée d’Orsay. © Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt
Il suo esordio avvenne due anni dopo in occasione dell’esposizione di Brera, alla quale partecipò con una scultura raffigurante un cavallo. Il debutto con un soggetto animalier insieme allo studio dei ritratti, espressioni di quel «vero» sempre indagato, avrebbe informato l’intera sua produzione.
Non a caso, nel 1900, anno in cui ottenne all’Esposizione Universale di Parigi il Grand Prix de la Sculpture con «Tolstoj a cavallo», convinto sostenitore della conservazione delle diverse specie animali, decise di divenire vegetariano. A maturare in lui la rigorosa decisione era stata la cruenta visione della macellazione di un piccolo vitello: «Considero un delitto atroce uccidere gli animali più innocui, assassinati vigliaccamente e barbaramente, per soddisfare la golosità così perversa e infame di gran parte dell’umanità». Da allora soggetti quali «Divoratori di cadaveri», «Secondo leggi di natura», «Contro le leggi di natura» e «Agnellino (Come potete divorarmi?)» sarebbero cominciati a comparire nella sua produzione, con chiaro intento propagandistico in favore di un tema divenuto oggi cruciale nel dibattito sociale.
L’innato talento di ritrattista, espresso più in scultura che in pittura, unito alla favorevole opportunità, date le origini nobiliari, di beneficiare di una fitta rete di relazioni, gli consentì di ritrarre numerosi esponenti di famiglie altolocate come i Visconti di Modrone, i Durini, gli Erba, i Cattaneo, i Vonwiller, i Cairati Vogt, gli Odescalchi, i Borghese, i Florio e i Puricelli e personaggi tra cui Giacomo Puccini, Giuseppe Giacosa, Luigi Illica, Isadora Duncan, Gabriele d’Annunzio, Ferdinando Lucini, Benedetto e Teresa Junk, Lorenzo Ellero, Lazzaro Pasini, Giovanni Segantini, il cui busto resta uno dei capolavori di questo periodo. Furono proprio i numerosi incontri instaurati con esponenti del mondo letterario, artistico e politico della Belle Époque e, soprattutto, il trasferimento a Parigi, a garantirgli grande fama presso i personaggi dell’élite culturale internazionale tra cui Luisa Amman Casati, Enrico Caruso, Auguste Rodin, Giovanni Boldini, Josefina Errázuriz Alvear, Fëdor Ivanovič Šaljapin, Rembrandt Bugatti, William e Gertrude Vanderbilt, George Bernard Shaw, Anatole France, Joaquín Sorolla y Bastida, Lev Galitzin, Paul Helleu, Robert de Montesquiou-Fezensac e Henry e Robert de Rothschild.
La mostra intende porre in risalto questa profonda versatilità nel ritratto ottenuta grazie a una significativa capacità d’introspezione psicologica e a una tecnica prodigiosa che tentava di cogliere la realtà nel suo eterno, immutabile divenire. Poiché ciò che a lui interessava era trasmettere le impressioni ricevute dalla natura.
Che si trattasse della moglie, la bellissima modella svedese Elin, e del figlio Pierre, scomparso ad appena due anni, di Garibaldi, dello zar Alessandro III, per il quale nel 1901 realizzò il monumento equestre a Pietroburgo, o del duce, di arabi, brumisti, fantini, amazzoni e danzatrici così come del proprio lupo Vaska o di bracchi, cirnechi, levrieri e siberiani, cervi, cavalli, elefanti, iene o cammelli, era solito ammettere che «quando studio e produco un essere vivente non è la cosa in sé che desidero rappresentare, ma la vita che vivifica e anima tutte le cose ugualmente».
Agli inizi del nuovo secolo, l’eco della sua fama si era ormai estesa a livello internazionale. Dal 1898 al 1905 tenne la cattedra di scultura all’Accademia Imperiale di Belle Arti di Mosca. Dopo avere soggiornato a Parigi, nel 1908, in seguito all’allestimento di una personale negli Stati Uniti e all’acquisto da parte del museo di San Francisco per il tramite di Michael Henry de Young di alcune sue creazioni, maturò di trasferirsi prima a New York e successivamente a Pasadena.
I soggetti prediletti di questo periodo furono gli esponenti dell’upper class e della borghesia industriale locale quali Lady Constance Stewart Richardson, Margaret Stewart, Grace Cookson Stair, Mrs. Harold McCormick, Thamara Swirskaya, Harrison Grey Otis, George Waterman, così come divi del cinema muto come Mary Pickford e Douglas Fairbanks. Dagli anni Venti si stabilì a Parigi, alternando diversi viaggi tra lo studio di Neully-sur-Seine e la villa di Suna. Nel 1932, cinque anni dopo la scomparsa della moglie, tornò a Suna e, per una grave anemia favorita dall’astensione completa dalle carni, morì nel 1938.