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David Ekserdjian
Leggi i suoi articoli«Siena: The Rise of Painting, 1300-1350» (Siena: la nascita della pittura, 1300-1350), una mostra già presentata al Metropolitan Museum of Art di New York e ora, fino al 22 giugno, visibile alla National Gallery di Londra, celebra l’unica scuola italiana del Trecento in grado di rivaleggiare, e in un certo senso superare, il trionfo di Giotto e dei suoi seguaci a Firenze. L’argomento della mostra è molto semplice: si limita, perlopiù, a quattro pittori (Duccio, Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti) e presenta i loro straordinari talenti attraverso gruppi di dipinti di primissima qualità radunati eccezionalmente per questi pochi mesi. Inoltre, per quasi ognuno dei quattro, la mostra riesce a dimostrare le loro eccelse capacità non solo nel dipingere «icone», di solito della Madonna col Bambino e santi, ma anche scene narrative.
Per cominciare con Duccio, ovviamente l’enorme maggioranza dei pezzi della sua «Maestà» per l’altare maggiore del Duomo di Siena non si possono spostare dal Museo dell’Opera della Metropolitana, ma a Trafalgar Square abbiamo il privilegio di vedere gli otto elementi esistenti del verso della sua predella ricomposti nella loro giusta sequenza (pare che solo uno sia andato perduto). Due sono sempre rimasti a Siena, mentre gli altri sono finiti nella National Gallery, che ne ha due, nel Kimbell Art Museum di Fort Worth, nel Museo Thyssen di Madrid, nella Frick Collection di New York e nella National Gallery of Art di Washington. La loro presenza ha dovuto richiedere non solo argomenti diplomatici eloquenti per convincere i possibili prestatori, ma anche l’immenso potere dei due grandi musei che hanno collaborato all’organizzazione della mostra.
Nel caso di Simone Martini sono riusciti a fare ancora meglio, perché hanno potuto riunire le «disiecta membra» di due pale d’altare portatili. Una, la cosiddetta «Pala del Palazzo Pubblico», rappresenta la Madonna col Bambino in centro, accompagnata da quattro santi, tutti rettangolari e a mezzo busto. Visto che tre delle tavole erano già al Metropolitan, mentre le altre due erano al Getty di Los Angeles e nella collezione privata di Carmen Thyssen, la possibilità di riuscita era molto alta. Comunque sia, la ricomposizione del «Polittico Orsini» non era così facile, perché le sue quattro tavole, originariamente tutte a due facce, sono divise tra un paio ad Anversa, uno a Parigi, e l’ultimo a Berlino. Vederle tutte insieme è un sogno diventato realtà, anche se la ridipintura naturalistica del cielo vespertino del «Seppellimento di Cristo» di Berlino ci impone di immaginarlo con il suo fondo dorato originale.
Per quanto riguarda Pietro Lorenzetti, i due veri capolavori in mostra non hanno necessitato di un rimontaggio, ma è miracoloso che i loro custodi li abbiano concessi a Londra, e ancora di più a New York. Uno è il trittico della «Nascita della Vergine» del Museo dell’Opera a Siena, firmato e datato 1342, che rappresenta la parte centrale di una delle quattro pale d’altare dedicate ai principali santi patroni della città che seguivano la Maestà nell’allestimento del coro del Duomo di Siena.
Come si capisce dall’«Annunciazione» di Simone Martini agli Uffizi, che adornava uno degli altri altari della serie, nello stato attuale del dipinto di Pietro mancano due santi laterali, ma la scena principale è intatta e offre una visione di un interno dell’epoca registrato con cura e amore. L’altro capolavoro è il polittico della Chiesa di Santa Maria della Pieve ad Arezzo, che misura non meno di 312x295 cm, e si estendeva all’origine su cinque piani. I suoi numerosi elementi esistenti sono sempre nella chiesa d’origine, ma tutti separati e quindi più facilmente trasportabili. Manca la sua predella, ma per il resto abbiamo sempre la porzione principale con la Madonna e quattro santi, accompagnati da angeli, altri santi più piccoli su due livelli in alto, con sopra la Madonna la scena dell’Annunciazione, e come coronamento finale l’Assunta.
Rispetto ai suoi tre compagni, l’unico pittore che purtroppo soffre nella mostra è Ambrogio Lorenzetti, semplicemente perché non è stato possibile avere in prestito nemmeno uno dei suoi massimi capolavori. Ovviamente, i suoi affreschi del Buono e del Cattivo Governo devono rimanere sulle pareti del Palazzo Pubblico di Siena, e si presume che la sua «Presentazione al Tempio» agli Uffizi e la sua «Maestà» a Massa Marittima fossero considerati troppo grandi e/o delicati per viaggiare. In mostra, quindi, dobbiamo accontentarci principalmente della solidità figurale dell’«Annunciazione» della Pinacoteca Nazionale di Siena e delle quattro squisite «Scene della vita di san Nicola» degli Uffizi.
Una consolazione totalmente diversa viene offerta dall’indimenticabile e immensa sinopia del suo perduto affresco dell’«Annunciazione» a Montesiepi, in cui la Vergine, apparentemente terrorizzata dalle parole dell’Arcangelo Gabriele, si tiene stretta a una colonna per non cadere a terra. Il numero e il pregio dei dipinti dominano la mostra, ma non vuol dire che non ci siano delle autentiche delizie in altri campi in tutte le sale. Per cominciare, qui la scultura senese viene dominata da Tino da Camaino, e soprattutto da vari impressionanti frammenti della sua Tomba di Gastone della Torre per Santa Croce a Firenze.
Passando alle opere di più piccole dimensioni, ci sono due stupefacenti manoscritti miniati: Les Belles Heures du Duc de Berry dei fratelli Limbourg e Les Heures de Jeanne d’Évreux di Jean Pucelle. È una frustrazione non avere la gioia di poterne voltare le pagine, ma goderne una o due è sempre un raro privilegio. Tra gli smalti, un magnifico Crocifisso, attribuito a Tondino di Guerrino, non ha pari, ma c’è anche il fascino della temporanea riunione in una sola vetrina di una reliquia composta da una Madonna col Bambino e santi con Annunciazione su vetro dorato (Fitzwilliam Museum, Cambridge) e la sua cornice originale (Cleveland Museum of Art). Infine, una «Madonna col Bambino» dal Metropolitan e vari altri avori parigini databili al XIII secolo sottolineano l’importanza dell’arte francese nella formazione della Scuola senese.
David Ekserdjian è Ordinario di Storia dell’arte all’Università di Leicester e opinionista di «Il Giornale dell’Arte»

Simone Martini, «Andata al Calvario», 1326-34 ca. Parigi, Museo del Louvre. © RMN/Grand Palais (Musée du Louvre) Gérard Biot