«Due Qui / To Hear» (Tese delle Vergini all’Arsenale)

Foto Andrea Avezzù. Cortesia di La Biennale di Venezia

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«Due Qui / To Hear» (Tese delle Vergini all’Arsenale)

Foto Andrea Avezzù. Cortesia di La Biennale di Venezia

BIENNALE ARTE 2024 | Il Padiglione Italia, uno spazio politico perché poetico

Il progetto di Massimo Bartolini è un continuum tra interno ed esterno ed è la musica ad accompagnare il visitatore. Gli spazi all’Arsenale, sulle onde di un ipnotico mantra, sono il luogo della temperanza e di un’esperienza spirituale in cui connettersi a sé stessi e, quindi, alla moltitudine

«Certe volte non riesco più a muovermi»: sono le parole del poeta argentino Roberto Juarroz («A veces ya no puedo moverme»), una delle fonti di questo padiglione monografico firmato da Massimo Bartolini (Cecina, 1962) con la curatela di Luca Cerizza (Milano, 1969). Entriamo in un luogo prezioso, in cui tanto il chiacchiericcio da inaugurazione quanto il dramma che continua a bruciare nel mondo fuori dalla bolla della Biennale rimangono sull’uscio e noi veniamo accompagnati in un percorso lento, di respiro e presenza. «Trovo radici mie dappertutto, come se tutte le cose nascessero da me o come se io nascessi da tutte le cose».

Un Bodhisattva pensieroso, nell’iconografia buddhista l’uomo che raggiunge l’illuminazione e sceglie di abbandonarla per indicare la via agli altri uomini attraverso l’inazione, siede sull’estremità di un lungo parallelepipedo bianco che taglia per lungo lo spazio della Tesa 2. Un elemento architettonico di 25 metri che in realtà è una monumentale canna d’organo posta in orizzontale, da cui proviene un suono continuo che si espande fra una parete verde e una viola, traduzione cromatica delle note del la e del la bemolle, secondo la teoria delle tonalità musicali elaborata da Aleksandr Scriabin a inizio ’900. La Tesa 1 è un giardino all’italiana in tubi Innocenti che conquista la tridimensionalità dello spazio, e ha il suo cuore nella scultura-fontana centrale. «Conveyance» è un cerchio abitabile, in cui i visitatori si possono sedere intorno a un’onda definita scientificamente come «solitone», ovvero che sale e scende di continuo. Tecnicamente è assimilabile al moto dello tsunami, esperienzialmente diventa un mantra dinamico, che cattura e ipnotizza, entra in dialogo con il nostro battito e si sincronizza con i suoni che provengono dall’orchestra-foresta di organi metallici e dai due carillon che trovano posto in mezzo ai rami. 

La somma di questi elementi avvicina l’animo all’idea dei chiostri dei monaci, dei cortili che risuonano del canto degli iman che richiamano alla preghiera, degli ashram che vibrano con i mantra dei praticanti. Una spiritualità sincretistica che, forse per la prima volta, fa percepire gli spazi del Padiglione Italia come non eccessivamente grandi, misurato luogo della temperanza in cui connettersi a sé stessi e, quindi, alla moltitudine. Usciamo all’esterno, il terzo spazio è il verde del Giardino delle Vergini, con tre tracce sonore che si espandono dalle fronde degli alberi. L’installazione «Audience for a Tree», un albero metaforicamente circondato da persone, chiude il cerchio del percorso, guardiano dell’uscita così come il Bodhisattva lo è dell’ingresso. O viceversa, Bartolini concepisce un percorso ben lontano dall’assertività dell’opera chiusa, lasciando il ritmo e la direzione all’individualità del camminatore.

Massimo Bartolini. Foto Andrea Avezzù. Cortesia di La Biennale di Venezia

La narrazione portata avanti dall’artista è multipla sin dalle voci chiamate a comporre l’architettura esperienziale del padiglione. Il canone in la bemolle che ci accompagna nel giardino interno è di Caterina Barbieri (Bologna, 1990) e Kali Malone (Denver, 1994); il coro a tre voci, campane e vibrafono del giardino esterno è firmato da Gavin Bryars (Goole, Uk, 1943) e dal figlio Yuri Bryars (Canada, 1990) e si ispira alla poesia di Juarroz citata poc’anzi. Due musiciste della scena elettronica sperimentale da un parte, un maestro del minimalismo dalla fine degli anni Sessanta, e suo figlio dall’altra. Generazioni della ricerca musicale internazionale a confronto, a cui si aggiunge, nel public program e nella guida che accompagna la mostra, la parola, grazie alla scrittrice e illustratrice per l’infanzia Nicoletta Costa (Trieste, 1953) e al romanziere e poeta Tiziano Scarpa (Venezia, 1963), chiamati a scrivere un contributo a partire dalla relazione fra uomo e natura, centrali nell’opera dell’artista sin dagli anni Ottanta.

Bartolini, insieme alla suddetta orchestra, ha creato un tempo taumaturgico, dove l’udibile apre a quello che fino a ora era inaudito. Attraverso un’architettura effimera ha costruito intorno al visitatore un dispositivo di sospensione, dove nulla può accadere se non il lasciarsi attraversare dalle vibrazioni indotte, e accettare di risuonare a nostra volta: ascoltare, per essere ascoltati, e diventare così permeabili esseri plurali. Una vulnerabilità e un’interdipendenza che ci assimila così a tutto ciò che è natura.

La 60ma edizione della Biennale si è aperta sotto il cielo politico scurissimo. «Due Qui / To Hear» rovescia il senso di impotenza davanti a questi tempi che ci sovrastano e lo sfalda invitandoci all’inazione più pura, quella che è piena di vita perché è aperta all’altro. Sfugge la speculazione concettuale, è politica attraverso il linguaggio della poesia e la pratica meditativa. Ci offre non uno spazio in cui cercare, ma un luogo in cui essere trovati. Per non chiamarci più stranieri o, semmai, per esserlo insieme.

«Due Qui / To Hear» (Tese delle Vergini all’Arsenale). Foto Andrea Avezzù. Cortesia di La Biennale di Venezia

Micaela Deiana, 13 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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