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Alla Gnam una mostra intorno all'archivio che gli eredi hanno donato al museo
- Guglielmo Gigliotti
- 19 ottobre 2021
- 00’minuti di lettura


Anton Giulio Bragaglia, «Lo schiaffo», 1921.
Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoli«Anton Giulio Bragaglia. L’archivio di un visionario» è la mostra che la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea dedica, fino al 31 ottobre, a una delle menti più fervide della cultura italiana del ’900. L’archivio del titolo è quello che gli eredi Bragaglia hanno donato al museo: circa 200 metri lineari di libri e documenti, un patrimonio immenso di cui la curatrice della mostra, Claudia Palma, offre una selezione, costituita da 450 pezzi tra fotografie, grafiche, locandine, manifesti, libri.
Il tutto integrato da opere della collezione permanente del museo, realizzate da artisti che con Bragaglia (1890-1960; nella foto) ebbero rapporti d’arte e d’amicizia: Balla, Campigli, Fillia, Mauri, Pannaggi, Prampolini, Man Ray, Severini, tra gli altri. Bragaglia fondò e diresse, infatti dal 1918 e al 1930, la Casa d’arte Bragaglia, galleria romana che ospitò mostre dei maggiori artisti futuristi, oltre a de Chirico, Sironi, Evola, Klimt, Schiele e Zadkine, e poi tutta la scena del «ritorno all’ordine» italiano, da Donghi a Scipione.
Dal 1937 al 1943 diede invece vita al Teatro sperimentale degli Indipendenti, seguito dalla non meno importante esperienza del Teatro delle Arti, costituendo una polarità nazionale del meglio della drammaturgia internazionale contemporanea, rappresentando Maeterlinck, Strindberg, Wedekind, alternati a Pirandello, Svevo, Marinetti, Folgore e Campanile. Ma Bragaglia fu anche fondatore di originali riviste («La Ruota», «Cronache d’attualità», «Comoedia»), e prolifico autore di saggi sul teatro, spaziando dall’avanguardia alle antiche tradizioni popolari.
D’altronde si definiva «archeologo futurista». Archeologo lo fu davvero, da giovane, collaborando con Giacomo Boni agli scavi nel Foro romano, e futurista lo fu anche in senso creativo, come testimoniato in mostra dalle opere di fotodinamismo futurista realizzate dal più poliedrico degli intellettuali italiani. Il tutto sarà racchiuso nel libro a cura di Chiara Stefani che seguirà la mostra, con saggi su tutti i campi esplorati da Bragaglia, non ultimo la danza, affrontata da Patrizia Veroli.

Anton Giulio Bragaglia, «Lo schiaffo», 1921.