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Lidia Panzeri
Leggi i suoi articoliÈ una mostra dalla lunga genesi quella che, a Palazzo Ducale dal 7 settembre al 6 gennaio, celebra i 500 anni della nascita di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (Venezia 1519-94), coprodotta dalla Fondazione Musei Civici e dalla National Gallery di Washington (che la ospiterà dal 10 marzo 2019), «per assicurare una platea più ampia di quella europea», chiosa Gabriella Belli, direttrice della fondazione. Coinvolta, fin dal momento della sua nomina a direttrice delle Gallerie dell’Accademia, che nelle stesse date ospita la mostra «Il giovane Tintoretto», anche Paola Marini, che la cura insieme a Roberta Battaglia e Vittoria Romani.
La retrospettiva a Palazzo Ducale (catalogo Marsilio) è centrata sul periodo più fecondo dell’arte di Tintoretto, dalla piena affermazione verso metà degli anni Quaranta del Cinquecento fino agli ultimi lavori, riunendo 50 suoi dipinti e 20 disegni autografi prestati dai grandi musei internazionali, unitamente ai famosi cicli realizzati per il Palazzo Ducale tra il 1564 e il 1592 visibili nell’originaria collocazione. La direzione scientifica della mostra è di Gabriella Belli. Ne sono curatori Robert Echols e Frederick Ilchman, che abbiamo intervistato.
Sono trascorsi più di ottant’anni dall’ultima grande antologica di Tintoretto a Venezia e più di dieci dalla retrospettiva da voi curata al Museo del Prado. Quali sono le differenze con il nuovo appuntamento veneziano?
F.I. La mostra del 1937 a Ca’ Pesaro riuniva oltre un centinaio di opere tra dipinti e disegni, comprese 5 tele raffiguranti l’«Ultima Cena», e annoverava prestiti dalla Germania e dall’Austria. Gli altri dipinti provenivano dalle chiese e dai musei veneziani, tolti dal loro contesto.
R.E. Rispetto alla mostra del 2007 a Madrid, la maggiore differenza consiste nel fatto che ha luogo a Venezia, la città natale dell’artista. Siamo consci che è molto importante per i visitatori vedere tanti dipinti del Tintoretto nel loro contesto originale.
E riguardo alle opere esposte al Prado?
F.I. Circa la metà delle opere di Palazzo Ducale non figurava a Madrid. Sono presenti, comunque, alcuni dipinti icona come «L’origine della Via Lattea» dalla National Gallery di Londra o il «Ritratto di gentiluomo con la catena d’oro» dal Prado, insieme ad altre opere relativamente sconosciute, alcune delle quali mai esposte prima d’ora. A Palazzo Ducale ci sarà inoltre una sequenza di tre sale dedicate al metodo di lavoro di Tintoretto, nelle quali saranno esposti disegni su carta, bozzetti su olio, carta e tela, immagini in infrarosso e ai raggi X che rivelano gli strati precedenti sotto la superficie dipinta.
Per la mostra sono stati eseguiti restauri?
F.I. Il comitato americano «Save Venice» (del quale Ilchman è presidente, Ndr) ha restaurato 18 dipinti di cui 9 saranno esposti a Palazzo Ducale e gli altri saranno visibili nelle loro collocazioni originarie in Venezia. Inoltre, alcuni dipinti «non veneziani» sono stati appositamente restaurati dai loro proprietari.
Una vostra definizione di Tintoretto?
F.I. Chiunque scriva di Tintoretto ha difficoltà a definire il suo successo. Era un grande pittore del corpo umano. Era anche un narratore di talento, in particolare per i racconti di soggetto religioso. Era un audace innovatore con la sua tecnica pittorica.
R.E. Voglio citare il suo biografo Marco Boschini, che scrisse che tentare di descrivere l’arte di Tintoretto in dettaglio «sarebbe un volere vuotare con picciol’urna il Mare. Basti il dire ch’egli fosse il prodigo Tintoretto».
Un altro capitolo importante è quello dei ritratti.
R.E. La mostra si apre con il suo baldanzoso autoritratto giovanile del 1546-48 circa dal Philadelphia Museum of Art e si conclude con l’ammaliante, ultimo autoritratto del Louvre del 1588 circa. Oltre a questi due abbiamo riunito molti dei suoi più grandi ritratti che vengono installati in uno spazio separato, così da offrire una nuova prospettiva di questo aspetto della sua arte. Siamo convinti che Tintoretto fu uno dei migliori ritrattisti del XVI secolo, in Italia per non dire in Europa. Siamo specialmente affascinati dal fatto che i suoi migliori ritratti sono così sobri e sommessi, completamente divergenti dai suoi teatrali e dinamici dipinti religiosi e mitologici.
F.I. Quando nel 2015 un affascinante ritratto di uomo con barba rossa venne battuto a un’asta da Sotheby’s, lo identificai come di mano del giovane Tintoretto. Questo ritratto, ora in collezione privata, sarà presentato proprio nell’ampia sala dedicata ai ritratti e siamo certi che diventerà una star.
Quale fu l’influenza di Tintoretto sui pittori successivi?
R.E. Tintoretto ebbe una profonda influenza nel corso della pittura europea, specialmente in termini della sua libera ed energica pennellata. Molti dei suoi contemporanei pensavano che i suoi dipinti apparissero «non finiti», ma artisti come Rubens e Delacroix hanno tratto ispirazione da questo aspetto della sua arte. Non è, inoltre, troppo audace affermare che i germi dell’Espressionismo astratto sono presenti nella pittura di Tintoretto.
Dal 10 marzo del 2019 la mostra si trasferirà alla National Gallery di Washington: significa la sua riscoperta?
F.I. Tintoretto è relativamente ben conosciuto negli Stati Uniti come uno dei «Big Three» della pittura veneziana del Cinquecento, insieme a Tiziano e Veronese. Ma è meno capito degli altri due, in parte perché è meno rappresentato nelle collezioni americane, che comprendono invece molte grandi opere di Tiziano e Veronese. Ciò ha anche a che fare con la confusione circa quanto Tintoretto ha veramente dipinto. Il nostro scopo è stato quello di creare una mostra che dà di Tintoretto la giusta rappresentazione.
R.E. Molti conoscono Tintoretto soprattutto in riferimento al suo grande ciclo alla Scuola Grande di San Rocco. I visitatori della due mostre, a Venezia e a Washington, saranno stupiti per la brillantezza e la sofisticazione dei sui colori.
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