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Sarà per l’eterogeneità delle sue magnifiche raccolte, che vanno dai dipinti dei nostri grandi maestri ai pizzi antichi, dai vetri ai gioielli (e molto altro), sarà per la qualità e il coraggio intellettuale delle sue più recenti direttrici (Alessandra Mottola Molfino e, oggi, Annalisa Zanni), ma sin dagli anni Settanta il Museo Poldi Pezzoli di Milano ha saputo aprire, con le sue mostre, piste di ricerca inedite e spesso spiazzanti, specie per l’Italia.
Come accadde nel 1980 quando la storica del costume Grazietta Butazzi allestì nel museo la mostra «1922-1943: Vent’anni di moda italiana», non solo impensabile altrove ma anche propedeutica, negli auspici della curatrice e di Alessandra Mottola, a un museo milanese della moda poi mai realizzato. Contempla anche la rievocazione di quella storica mostra l'attuale rassegna, «Memos. A proposito della moda in questo millennio», ordinata da Maria Luisa Frisa con l’exhibition maker Judith Clark, e realizzata dalla Camera Nazionale della Moda Italiana con il museo stesso.
Non una semplice mostra di manufatti, bensì, avverte Judith Clark, una mostra «sui sistemi della moda e delle sue strutture». «Un’operazione, incalza Maria Luisa Frisa, che vuole esplicitare la pratica del fare mostre, ma anche una selezione parziale di oggetti ciascuno dei quali evoca le influenze di cui è frutto o che ha innescato».
Non a caso il modello interpretativo cui la curatrice si è rifatta (e da cui ha tratto il titolo) è quello offerto dai «Six Memos for the Next Millennium», pubblicati postumi nel 1988 con il titolo Lezioni americane, cioè gli appunti stilati da Italo Calvino in vista delle lezioni che avrebbe dovuto tenere nell’autunno 1985 all’Università di Harvard, morendo, però, poco prima.
Da quegli appunti ancora «aperti» la curatrice ha tratto il metodo con cui si è mossa, in fuga dunque da qualunque catalogazione enciclopedica (né sarebbe stato possibile, perché i capi in mostra sono 38, arricchiti da brevi testi della scrittrice Chiara Valerio e della regista Roberta Torre, e accompagnati da fotografie e materiali documentari), e in cerca piuttosto di «abbozzi di idee» capaci di generare una rete di relazioni e una ricca potenzialità di sviluppi.
Allo stesso modo, spiega la curatrice, «Memos» erano anche le note destinate ai suoi collaboratori da Diana Vreeland, mitica direttrice di «Vogue America» dal 1962 al 1972. Ne è nata una «riflessione critica in forma di mostra», in cui l’oggetto-abito entra in stretta relazione con il proprio tempo e con lo spazio del museo, evidenziando le categorie dominanti del nuovo millennio, riconducibili ai temi dello sperimentale, del relativo, del fluido, della geopolitica, oltre che del femminismo e dell’inclusione.
Ogni abito, al di là della sua qualità estetica, del lusso (o della rivolta) che incarna, diventa così il portatore di messaggi storici, antropologici e sociali, regalando alla mostra più livelli di lettura. Sta al visitatore costruirsi una visita di segno meramente estetico oppure storico-concettuale.

Una veduta della mostra «Memos. A proposito della moda in questo millennio», in corso al Museo Poldi Pezzoli di Milano fino al 4 maggio. Foto: Francesco De Luca