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Martina Bonetti
Leggi i suoi articoliAlla Galleria Monica De Cardenas di Milano ha appena inaugurato «Dialogues», una mostra collettiva che, sino al 22 novembre, mette in conversazione cinque artisti appartenenti a generazioni e linguaggi differenti, in una ricerca tra figurazione e astrazione. Il titolo non è solo dichiarativo: l’esposizione costituisce un vero e proprio intreccio che attraversa oltre settant’anni di ricerca pittorica e scultorea, costruendo un percorso corale e coeso dove le opere dei diversi artisti si parlano tra loro. Il primo autore è Alex Katz (New York, 1927), celeberrimo punto di riferimento per molti artisti delle nuove generazioni, i cui lavori riescono sempre a comunicare un senso di monumentalità e intimità allo stesso tempo. La cifra stilistica di Katz, superfici piatte, campiture nette, ritratti di amici e conoscenti in momenti fugaci, continua a restituire, anche in questa occasione, un’esperienza oltremodo personale.
Si passa poi alla materia scolpita di Stephan Balkenhol (Fritzlar, 1957), e il passaggio è netto ma armonico. Balkenhol lavora il legno con scalpelli che lasciano tracce visibili sulla superficie, conferendo alle figure un aspetto abbozzato e quasi fumettistico. I suoi uomini e animali antropomorfi condensano un realismo ironico e stoico che li rende unici nel loro genere. Più delicato è il registro di Gideon Rubin (Tel Aviv, 1973), che dipinge figure senza volto o spesso di spalle, ispirandosi a fotografie trovate. Nei suoi quadri la memoria è un punto centrale: i soggetti sono anonimi ma familiari, antichi ma attuali. Rubin lavora su un confine labile, trasformando il vuoto dei tratti in spazio per l’immaginazione.

Svenja Deininger, «Untitled», 2025. Courtesy of Galleria Monica De Cardenas
La dimensione diventa astratta nelle tele di Svenja Deininger (Vienna, 1974), artista che opera per layer e rielaborazioni. Le sue composizioni, costruite con olio, gesso, polvere di marmo e colla, invitano a un’osservazione lenta: superfici e texture mutevoli, forme apparentemente conosciute che si aprono a interpretazioni sempre diverse. Nei suoi lavori, il dialogo non è solo tra colori e materiali, ma si traduce in un’esperienza tra l’opera e lo sguardo dello spettatore. A chiudere il percorso è Henry Curchod (Palo Alto, 1992), il più giovane del gruppo, rappresentato da quattro opere dense di energia e stratificazioni culturali. Radici curdo-iraniane ed educazione occidentale si intrecciano in un linguaggio personale dove il disegno è cardine, tra pastelli, trementina e carboncino. Il lavoro di Curchod costruisce narrazioni anticonvenzionali e visionarie, dove astrazione e figurazione convivono in un equilibrio instabile. Con «Dialogues» Monica De Cardenas propone una mostra che, oltre a presentare cinque interessanti artisti contemporanei dalla pratiche eterogenee, fa della differenza di linguaggi, generazioni e origini geografiche ricchezza visiva e concettuale.