Osart Gallery continua l’esplorazione della scena artistica africana ospitando, dal 22 settembre e sino al 18 novembre, la doppia personale di Franklyn Dzingai (Kwekwe, 1988) e Wilfred Timire (Harare, 1989). Dopo il successo ottenuto lo scorso anno, con la partecipazione alla collettiva «Shanduko», i due artisti tornano nello spazio espositivo milanese presentando una serie di nuovi lavori, incentrati sul tema della vita in città, come suggerisce il titolo della mostra «Patonaz» (in lingua shona significa «in città»).
Harare, la capitale dello Zimbabwe nella quale entrambi vivono e lavorano, diventa il palcoscenico esistenziale su cui germinano le narrazioni dei due autori. La recita del quotidiano si svolge nelle complesse condizioni socioeconomiche del Paese, afflitto da un’inflazione incontrollata, dalla disoccupazione dilagante e dalla scarsità di servizi. Eppure, vitalità, speranze e sogni di riscatto emergono dal fondo delle opere e assurgono a soggetti di un’indagine artistica che rivela virtuose improvvisazioni, sia sul fronte delle pratiche esecutive che dei materiali utilizzati.
Dzingai è uno dei pochi artisti in Zimbabwe specializzato in tecniche di stampa su tela, in particolare nell’uso di matrici di cartone nel processo di stampa. Il suo lavoro si articola intorno allo smontaggio e rimontaggio del proprio ambiente di provenienza. Dopo aver ricavato le immagini da libri, riviste, quotidiani e fotografie di famiglia, le assembla insieme realizzando dei collage, andando così a rinegoziare presenza e identità delle figure che compongono le sue opere.
La decostruzione diventa allora un esercizio meta-cognitivo, per una rilettura del proprio contesto sociale, che ne rende possibile il gioco interpretativo. Le feconde sperimentazioni di Timire si sviluppano invece grazie all’impiego di materiali insoliti, come quelli da imballo, objets trouvés che vengono cuciti insieme a formare grandi arazzi dai contorni fluidi. Una sorta di bricolage postmoderno realizzato con la tecnica dell’«upcycling», il processo di riutilizzo di oggetti di consumo che ne attribuisce valore culturale.
Manipolati, rimaneggiati, assemblati in forme varie, lacerti cittadini, scampoli di tessuti o frammenti delle borse di plastica (Chinese bags) dentro le quali i migranti traslocano le loro vite precarie, insieme a uomini, donne, auto e scorci domestici, diventano affreschi contemporanei della caotica vita urbana. Lo Zimbabwe si conferma uno degli ecosistemi artistici più prolifici dell’area dell’Africa meridionale e i suoi rappresentanti interpreti capaci di elaborare nuovi linguaggi, che nascono dalla mescolanza di tradizione culturale e costante ricerca espressiva.
«C’è, in generale nell’Africa meridionale, un clima molto vivace e un desiderio di apertura a un contesto più ampio che non sia esclusivamente quello domestico, sottolinea Andrea Sirio Ortolani proprietario di Osart Gallery. A parte il museo nazionale esiste anche un museo privato, il Zeitz Mocaa (Museum of Contemporary Art Africa), che a Cape Town organizza mostre molto interessanti, oltre all’importante Norval Foundation e a un tessuto di gallerie private che sta iniziando a crescere e strutturarsi».