Al Polo del Novecento di Torino è in corso fino al 7 dicembre 2024 una mostra inusuale: dedicata al libro recentemente pubblicato del fotografo Davide Degano, Romanzo Meticcio, l’esibizione non ne mette in mostra le immagini, ma ne racconta piuttosto la ricerca intellettuale e creativa. All’apparenza un semplice libro fotografico sulle periferie italiane, Romanzo Meticcio (Artphilein Editions, 2024) racconta la contemporaneità dell’Italia colonialista, obbligandoci a fare i conti con l’impatto della storia sulla percezione della nostra identità e a riconoscere un nuovo significato al concetto di italianità.
Approfittando della presenza di Degano a Torino, abbiamo parlato del libro e della sua ricerca, in una conversazione che ha toccato temi personali, storici e filosofici.
Com’è nata l’idea per «Romanzo Meticcio»?
Il progetto nasce da una domanda che mi faccio spesso, e specialmente da quando sono tornato in Italia, sentendo il discorso politico nel Paese: «Che cosa significa essere italiani? Come si può definire l'identità italiana?». Io sono nato in Sicilia e cresciuto in Friuli, da una mamma sicula di origine colombiana e da un papà friulano di origine slovena, e per me questo mix culturale è sempre stato qualcosa di naturale, che però non ho mai riscontrato nel discorso pubblico italiano né nella rappresentazione dell’italianità, in Italia o all’estero. Ho riscontrato una difficoltà da parte di noi italiani ad accettare il multiculturale come un valore aggiunto e al tempo stesso una paura a riscoprire noi stessi. Al giorno d’oggi, l’Italia è un paese postcoloniale che non sa di essere stato un paese coloniale. E attraverso questo progetto ho riscoperto questa storia nascosta, cercando di riconoscere la multiculturalità come valore aggiunto e rappresentativo dell’Italia contemporanea.
Il «post-colonialismo» è il tema principale del libro. Cosa significa per lei questo termine?
Durante la mia ricerca ho realizzato che il colonialismo è parte integrante della natura Italiana ed è molto più complesso delle azioni imperialiste dell’Italia, che ha posseduto alcune colonie per 40 anni. L’Italia infatti è nata da un’azione forzata del Nord che ha conquistato il Paese. Guardando i dati Istat, le problematiche del Sud Italia sono tipiche dei cosiddetti paesi del Terzo Mondo, i paesi colonizzati. Allo stesso tempo, a differenza di altri paesi colonizzatori che avevano un’economia interna forte, l’Italia è anche un paese di emigranti, i quali, ad esempio, negli Stati Uniti venivano considerati al pari degli afroamericani. Ho iniziato quindi a esplorare il colonialismo in senso veramente esteso, come elemento essenziale della nascita dell’Italia contemporanea. Mi sono basato sugli studi di David Forgacs, I Margini d’Italia, che identifica cinque categorie emarginate all’interno del discorso mainstream sull’italianità: le colonie o ex colonie, con le seconde, terze e quarte generazioni che vivono in Italia, il Meridione, i campi nomadi, le periferie e i manicomi. Tramite la teoria intersezionale, sono riuscito a collegare questi sottostrati, a esclusione dei manicomi.
Come si traduce questa ricerca a livello visivo?
Il libro è un misto di mie fotografie e immagini d’archivio. Con la parte fotografica, esploro il concetto di marginalità, mostrando le periferie e i gruppi sociali che non vengono mai rappresentati come italiani, o come stereotipo di italianità nell'immaginario collettivo. Queste fotografie sono poi supportate dal materiale d’archivio che vuole ricordarci perché pensiamo in questa maniera. Ad esempio ho utilizzato immagini del «Manifesto della Razza», che era molto diffuso durante l’epoca fascista e che indottrinava l’italiano a rispecchiarsi in un determinato tipo di identità, in maniera molto esplicita e con un uso violento di rappresentazioni di altri corpi. Ho anche incluso le immagini di Lombroso, che sono del pre-fascismo e di un uomo di sinistra, per far capire a che punto questa mentalità fosse radicata dal punto di vista culturale.
Come sono nate le fotografie del libro?
Per il progetto, ho scelto di usare una macchina fotografica analogica 4x5, che non permette di cogliere l’attimo. Ogni immagine è quindi creata, ogni elemento ha un significato ben preciso. Ho chiesto alle persone ritratte di performare se stesse. In pubblico, devono sempre assumere degli atteggiamenti che rispecchiano un ideale di italianità e ho trovato quindi importante dare spazio alla persona di essere se stessa. In questo senso la performance diventa quasi una non performance. Ho lasciato decidere a loro quale parte della loro origine culturale rappresentare e in cui rispecchiarsi, se affidarsi al background culturale familiare rispetto a quello del paese in cui sono cresciuti. Sono nati dialoghi molto interessanti, perché è una scelta completamente individuale che è impossibile generalizzare: all’interno della stessa famiglia, ad esempio, ci sono persone che si rispecchiano più in aspetti della cultura di origine, e altri che si sentono completamente italiani.
Molte delle persone ritratte hanno scelto di mostrare dei momenti intimi, privati. Come ha avuto accesso a queste situazioni?
Le immagini nascono da un legame collaborativo totale con le persone che ho ritratto, che mi hanno letteralmente aperto le porte di casa e mostrato le loro certezze, ma anche le loro debolezze. Condividere con loro la mia esperienza personale ha sicuramente creato un’affinità immediata e un clima di fiducia reciproca, che è poi servito nel corso dei sei anni del progetto. Le immagini del libro sono infatti abbastanza recenti, ma per arrivare a questi scatti ho sviluppato molti rullini di situazioni avvenute all’esterno, per costruire un rapporto, passare del tempo insieme e approfondire delle tematiche complicate.
Romanzo Meticcio
di Davide Degano, 160 pp. ill. col. e b/n, Artphilein Editions, Lugano, 2024, 49,95€