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Eve Arnold sul set di «Becket», Inghilterra, 1963. Foto di Robert Penn

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Eve Arnold sul set di «Becket», Inghilterra, 1963. Foto di Robert Penn

Eve Arnold e la capacità di rinnovarsi

Dalla moda al reportage, il percorso dell’artista americana raccontato nella nuova mostra di Camera

Francesca Interlenghi

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Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino dedica, fino al 4 giugno, un’importante mostra a Eve Arnold (Filadelfia 1912-Londra 2012), una delle più rilevanti fotografe del Novecento e la prima donna, insieme a Inge Morath, a far parte della prestigiosa agenzia Magnum Photos nel 1951. Emancipata, indipendente, disincantata e moderna, Arnold è stata un’autrice oltremodo sensibile, capace di tradurre in immagini le molteplici porzioni di mondo con le quali è venuta a contatto.

Dalle star di Hollywood alla vita dei migranti che lavoravano nei campi di patate, la sua esplorazione fotografica ha sempre restituito il reale depurato da qualsiasi stereotipo. Ha raccontato le dive del cinema, da Marlene Dietrich a Joan Crawford a Marilyn Monroe, con immagini iconiche che l’hanno consacrata alla fama internazionale, svelando la natura più autentica di queste attrici, spesso annidata tra le pieghe della loro notorietà.

Il progetto espositivo, curato da Monica Poggi e realizzato in collaborazione con Magnum Photos, raccoglie circa 170 immagini, molte delle quali mai esposte fino ad ora, ed è strutturato seguendo due filoni: quello delle opere e un percorso parallelo che racconta la vita di Arnold per tappe, dando conto di come il suo lavoro si diluisse in molti contesti, differenti tra loro.

Spiega la curatrice: «Il titolo della mostra («Eve Arnold. L’opera 1950-1980», Ndr) definisce l’arco temporale della sua opera. Il 1950 è l’anno in cui inizia a fotografare come professionista. La prima macchina fotografica, una Rolleicord da 40 dollari, l’aveva ricevuta in dono una decina di anni prima, ma fino a quel momento aveva scattato solo in maniera amatoriale. Il 1980 è una data più arbitraria e fa riferimento all’ultimo grande progetto veramente consistente dedicato alla società americana, realizzato trent’anni dopo i suoi esordi. Ritorna lì dove tutto era cominciato, dimostrando una grande capacità di rinnovarsi, catturando la realtà con uno sguardo sorprendentemente innovativo e contemporaneo».

È il corso di fotografia di Alexey Brodovitch, visionario direttore artistico della rivista «Harper’s Bazaar», a dare il via alla sua carriera e a determinare quel suo stile personalissimo che diventerà la sua cifra stilistica. Un linguaggio fotografico fatto di scenari densi, illuminati solo dalla luce naturale, frutto di un banalissimo problema tecnico che le impedisce di utilizzare il flash quando ad Harlem realizza il suo primo reportage dedicato alle sfilate di moda degli afroamericani.

Testimone del suo tempo, Arnold non si limita a fissare per immagini la rivoluzione culturale che si andava producendo in termini di abbigliamento e stili di vita, ma narra anche il razzismo, l’interazione fra le differenti culture, le rivendicazioni della comunità nera. Segue Malcom X durante i più importanti raduni dei Black Muslims e poi continua il suo lavoro in giro per il mondo, in Cina nel 1979 per un importante reportage e poi in Medio Oriente dove avvia un imponente progetto sull’uso del velo, dopo aver assistito a un discorso del presidente tunisino Habib Bourguiba che esortava le donne a toglierlo per entrare nella modernità.

Chiosa Monica Poggi a «Il Giornale dell’Arte»: «Oggi che si tende ad arrivare velocemente su un argomento e velocemente a risolverlo, passando a quello successivo, il lavoro di Arnold è un monito a non accontentarsi di quello che si è raccolto, a tornare sulle cose più e più volte, anziché esaurirle nell’istante stesso dello scatto».

Eve Arnold sul set di «Becket», Inghilterra, 1963. Foto di Robert Penn

Una veduta della mostra «Eve Arnold. L’opera 1950-1980», ospitata da Camera

Francesca Interlenghi, 27 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

Eve Arnold e la capacità di rinnovarsi | Francesca Interlenghi

Eve Arnold e la capacità di rinnovarsi | Francesca Interlenghi