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Camilla Bertoni
Leggi i suoi articoliUn periodo poco noto e complesso dell’arte di Giorgio de Chirico (1888-1978), rispetto al quale si cerca di fornire nuove chiavi di lettura. È quello della «Neometafisica» che Victoria Noel-Johnson ha scelto di mettere al centro della mostra «Giorgio de Chirico. Metafisica continua», di cui è curatrice, allestita nel Palazzo Sarcinelli dal 11 ottobre al 25 febbraio 2024. Organizzata da Artika in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico e con la Città di Conegliano, presenta 71 opere, tra dipinti, disegni e sculture. L’occasione è stata suggerita da due centenari, come spiega Victoria Noel-Johnson: «Oltre a quello del Surrealismo, che cade nel 2024 e sulla cui nascita de Chirico ebbe un ruolo importante, il nostro punto di partenza è la prima copia che fu realizzata da de Chirico stesso nel 1923 di un’opera tra le sue più note del periodo metafisico, “Le muse inquietanti”, del 1918. Una vicenda poco nota di cui dimostriamo, attraverso una ricca documentazione, che la copia risale alla committenza di André Breton, fondatore del Surrealismo».
Quando si erano conosciuti de Chirico e Breton?
Nel 1921 inizia la loro relazione epistolare seguita dall’incontro a Parigi. Divenne una relazione che, in parte, condizionò la carriera del pittore particolarmente negli anni Venti e Trenta a Parigi, al punto che Breton e i surrealisti eserciteranno una sorta di monopolio sulle opere di de Chirico degli anni Dieci nel loro ruolo di proprietari di opere e promotori di mostre a Parigi. Il loro rapporto cadde per questo in una sorta di conflitto di interessi, in primis da parte di Breton: quando il pittore cambiò il suo stile dal 1919 in poi, i surrealisti, volendo tutelare il valore economico e intellettuale dei dipinti che possedevano, lo smentirono dichiarandolo morto nel ’18. Breton arrivò a predatare, a volte 1916 a volte 1917, la sua copia di «Le muse inquietanti».
Che cosa rendeva così affascinanti agli occhi di Breton e dei surrealisti i dipinti di de Chirico?
I suoi primi dipinti contagiarono l’avanguardia parigina e in particolare i surrealisti negli anni Venti, con il suo linguaggio basato su leggi di precisione matematica ma che distorce la realtà attraverso l’uso illogico della prospettiva e delle ombre, o attraverso l’accostamento irrazionale di oggetti collocati in ambienti dove qualcosa non torna, che risultano inabitabili e assurdi. La produzione che ne deriva è caratterizzata da toni enigmatici su cui aleggia un inquietante e straniante isolamento. Pervasa da presagi angosciosi, l’atmosfera della sua pittura, o «Stimmung» per usare le parole di Nietzsche, suscita quel senso di sospensione del tempo, di misteriosa attesa e rivelazione.
E poi che cosa accadde tra de Chirico e Breton?
Questa è una questione molto complessa che qui cerchiamo di chiarire in maniera definitiva: i surrealisti, che si autodefiniscono i proprietari del copyright intellettuale del pittore nella forma degli anni Dieci, lo sconfessarono e lo accusarono di aver perso la sua genialità artistica, gettando un’ombra sia sulle sue copie di opere dei grandi maestri sia sulla produzione che ritornava sulle opere degli anni Dieci, qualcosa che per de Chirico era invece assolutamente legittimo. Chiariamo quindi che il pittore non pensò di fare copie, ma si trattò di un’operazione che l’artista sviluppò sul concetto di imitazione, ricca di riflessioni basate sulla sua lettura della Metafisica.
Il comportamento dei surrealisti quindi condizionò la valutazione critica delle opere di de Chirico anche in Italia?
Il giudizio negativo e le fake news che i surrealisti diffusero sul conto di de Chirico una volta che cambiò il suo stile rappresentarono un pesante ostracismo, un vero e proprio accanimento nei confronti delle opere che venivano proposte dal brillante gallerista Léonce Rosenberg, quando de Chirico dopo il ’26 era tornato a Parigi. Fu accusato di produrre addirittura falsi di sue opere, quando in realtà furono proprio i surrealisti i primi falsificatori di de Chirico, Max Ernst per esempio nel 1924 e, in maniera clamorosa durante gli anni ’40, Óscar Domínguez. Vorrei chiarire una volta per tutte che non esistono falsi de Chirico fatti da de Chirico. Usare la parola «falso» per copie e rielaborazioni di opere di de Chirico eseguite da de Chirico è inaccettabilmente erronea, offensiva e riduttiva. Uno dei primi a comprendere il valore profondo di questa operazione di riappropriazione e la genialità dell’artista fu Andy Warhol, ma in Italia la sua produzione, particolarmente quella neometafisica, fu a lungo oscurata. Nonostante ciò, la vastità dell’opera di de Chirico riuscì a influenzare non solo la nascita del Surrealismo, ma anche una serie di movimenti tra cui il Dadaismo, il Realismo magico, la Neue Sachlichkeit o Nuova oggettività, la Pop art, la Transavanguardia e alcuni aspetti del Postmodernismo. Come si vede, ad esempio, in mostra con la serie litografie «Mythologie» del 1934 e con la prima apparizione del tema dei Bagnanti misteriosi, gli anni Trenta furono per l’artista un periodo molto fertile e innovativo su cui portiamo nuova attenzione.
Come si articola la mostra?
Suddivisa per temi, scelti tra i più emblematici e conosciuti, raccolti a loro volta in sezioni, presenta 35 dipinti, 10 opere su carta, 10 sculture oltre al corpus di litografie «Mythologie»: i Manichini senza volto e i Trovatori, le immagini dello spazio esterno, con le Piazze d’Italia e le Torri, quelle sullo spazio interno con gli Interni ferraresi, e poi i Trofei, i Gladiatori, gli Archeologi, i Soli accesi e spenti e i Bagnanti misteriosi. La mostra riserva un ampio focus alla stagione neometafisica del decennio che si apre dal 1965, di cui la Fondazione de Chirico possiede la più importante e completa collezione al mondo. Il termine fu coniato proprio dall’artista per definire questa rivisitazione dei temi che appaiono negli anni Dieci, Venti e Trenta, con un ripensamento anche delle scelte cromatiche, più chiare e luminose. Si presenta come una conclusione gioiosa e positiva di un’intera carriera dedicata allo studio, alla ricerca e agli sviluppi innovativi. Ho voluto portare una nuova luce su un argomento controverso, già studiato da storici come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo dell’Arco, Lorenzo Canova, Fabio Benzi, nella speranza di poter fornire nuove chiavi di lettura sul periodo neometafisico.

La curatrice della mostra, Victoria Noel-Johnson