Mentre studiava alla scuola Alberghiera di Roma negli anni Venti del ’900, Mario Rimoldi coltivava contemporaneamente la sua passione per l’arte, costruendo le basi di una collezione che arrivò a comprendere centinaia di opere, grazie anche all’amicizia con Giovanni Comisso e Filippo de Pisis, firmate da Morandi, de Chirico, Vedova, Guttuso, Depero, Musič, Kokoshka e molti altri artisti. Dalla donazione, nel 1974, di questa vasta raccolta è nato il Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi di Cortina d’Ampezzo (Belluno) intitolato al collezionista, scomparso nel 1972.
In occasione dei cinquant’anni di questa istituzione, è stata aperta fino al 6 ottobre nei tre piani del museo la mostra «Il Museo Mario Rimoldi: una favola d’Ampezzo. 1974-2024» con una selezione di 200 opere che comprendono il Novecento di Funi, Tosi, Rosai, Campigli e Sironi, il Surrealismo di Savinio, la Scuola di Burano con Semeghini, i veneziani Viani, Guidi e Santomaso, l’Informale di Crippa, Dova, Morlotti, il trentino Tullio Garbari, il triestino Marussig, e ancora Corpora, Tomea, Saetti, tra gli stranieri Léger, Villon, Zadkine. Una collezione il cui sviluppo e la cui identità vengono ricostruite in catalogo dai saggi di Francesco Guzzetti dell’Università di Firenze e di Diego Mantoan di quella di Palermo. Una storia in cui si incontrano le figure di Neri Pozza e di Rodolfo Pllucchini, di Mariano Rumor e di Aldo Moro.
Ampezzano, nato nel 1900 e figlio di una famiglia di albergatori, Mario Rimoldi aveva letteralmente riempito l’hotel Corona di Cortina di opere, portando delegazioni di artisti alla locale Scuola d’arte e creando un inedito salotto culturale per la città a cui presero parte critici, collezionisti, scrittori, poeti e musicisti. Dopo le due mostre del 1941 allestite a Cortina con le opere della collezione, a confronto anche con altre raccolte italiane, con il beneplacito del Ministero dell’Educazione Nazionale, guidato da Giuseppe Bottai, la collezione di Rimoldi diventa motivo di lustro per Cortina. Un tempo considerato bizzarro e stravagante dai suoi concittadini, diventa primo cittadino nel ’51 collaborando alla realizzazione dei Giochi Olimpici Invernali del ’56, mentre, l’anno seguente, sarà insignito infine della medaglia d’argento ai «Benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte» da parte del presidente della Repubblica Gronchi.
Fu la moglie Rosa Braun, dopo la scomparsa del marito, a formalizzare alle Regole d’Ampezzo, storica istituzione che gestisce il patrimonio pubblico di pascoli e boschi della città, la donazione della collezione secondo la volontà di Rimoldi. Ma se lui desiderava che l’arte del ’900 rimanesse tra le montagne, respingendo altre generose offerte, non era scontato che le montagne desiderassero riceverla: la donazione arrivò in porto solo per intercessione di Eugenio Gaspari Coletin, allora presidente della locale Cassa Rurale, con l’appoggio di Silvio Menardi Menego e un’azione decisiva in Deputazione regoliera di Silvino Verocai: riuscirono a convincere il presidente pro tempore delle Regole d’Ampezzo Francesco Ghedina Basilio, a sua volta supportato dal senatore Arnoldo Colleselli, ad accogliere l’offerta.
Tutte le informazioni sulla mostra, realizzata dalla Commissione Culturale del Museo Rimoldi, in collaborazione con l’artista Paolo Barozzi, l’archivista Ilaria Lancedelli e il curatore Giorgio Chinea Canale, sono sul sito.