Ci sono sguardi che non passano inosservati, modi di guardare, e quindi vivere, il mondo che, malgrado gli anni, sembrano non invecchiare mai. Come nel caso di Peter Hujar (Trenton, 1934-New York, 1987), tra i fotografi più enigmatici di sempre, che impugnò la macchina fotografica come un’ancora di salvezza attraverso cui misurarsi con la complessità della vita e della società che aveva davanti.
Protagonista attivo della scena avanguardista della downtown New York degli anni Settanta e Ottanta, all’interno della quale ebbe modo di stringere legami indelebili e documentare le esperienze di artisti, scrittori, e performer leggendari quali Susan Sontag, William Burroughs, Fran Lebowitz, Andy Warhol, Vince Aletti, John Waters, e David Wojnarowicz, suo amante, Hujar si distinse fin da subito per i suoi bianco e nero al contempo sublimi, provocatori, e disarmanti. Dopo il grande successo della retrospettiva «Peter Hujar: Portraits in Life and Death», evento collaterale della 60ma Biennale di Venezia, organizzata nell’Istituto Santa Maria della Pietà, il suo occhio torna a incantare con «Peter Hujar: Azioni e ritratti / viaggi in Italia», allestita nel Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato dal 14 dicembre al 4 maggio 2025.
Come nel caso della precedente rassegna, ancora una volta a farla da padrone è il dialogo tra la sua documentazione della scena creativa e intellettuale newyorkese, passata alla storia come un ritratto senza filtri, incantevole e dirompente del tempo, nonché monito dell’epidemia di Aids che, da lì a poco, avrebbe colpito lo stesso Hujar, e le impressioni da lui raccolte durante i suoi ripetuti viaggi in Italia. A firmare la curatela della mostra è Grace Deveney, dell’Art Institute of Chicago, suo promotore, in collaborazione con Stefano Collicelli Cagol. Nella sua iterazione pratese, «la mostra è arricchita da una serie di fotografie scattate in Italia tra gli anni Cinquanta e Settanta, raccontano gli organizzatori. In quegli anni Hujar ebbe modo di viaggiare in diverse aree e città del Paese tra cui Firenze, Palermo e Napoli, restituendo una visione inaspettata e ancora oggi conturbante per l’intensità con cui persone, paesaggi e animali sono stati colti».
Caratterizzata dallo stesso fervore e dalle atmosfere surreali dei suoi scatti statunitensi, senza dubbio le sue opere più celebri, la sua resa incisiva, poetica e grottesca delle vedute e dei personaggi da lui incontrati nel corso dei suoi soggiorni italiani, ha in sé la capacità di suscitare sgomento, di muoverci nel profondo. D’altronde, proprio come Hujar non ha mai accettato di condurre un’esistenza costretta all’interno di schemi predefiniti, cercando invece di rimanere fedele ai propri ideali malgrado questo nuocesse alla sua carriera, anche la sua arte ci invita a spingerci sempre oltre, racchiudendo in sé «Azioni e ritratti».