«Autoritratto (mantello rosso)» (1923) di Tarsila do Amaral (particolare)

© Museu Nacional de Belas Artes Ibram, Rio de Janeiro. Foto © Jaime Acioli. © Tarsila do Amaral Licenciamento e Empreendimentos

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«Autoritratto (mantello rosso)» (1923) di Tarsila do Amaral (particolare)

© Museu Nacional de Belas Artes Ibram, Rio de Janeiro. Foto © Jaime Acioli. © Tarsila do Amaral Licenciamento e Empreendimentos

Il gigantismo onirico di Tarsila do Amaral

Nel Musée du Luxembourg la retrospettiva di una delle più amate artiste brasiliane, tra le maggiori esponenti del Modernismo in America Latina

Tarsila do Amaral è una delle maggiori esponenti dell’arte modernista in America Latina, ed è anche una delle più note e amate artiste brasiliane. Negli anni Venti, con «Abapuro» («L’uomo mangia-persone», in lingua tupi), fu pioniera in Brasile di una rivoluzione artistica che si emancipava dall’accademismo europeo. Il personaggio della tela, dipinta nel 1928, languido e mostruoso, nudo, con la testa minuscola e le gambe giganti, seduto accanto a un cactus e a un sole che sembra un fiore, ispirò al poeta modernista Oswald de Andrade, marito della pittrice, il suo «Manifesto Antropofago», una poetica nuova che invitava gli artisti a «nutrirsi» delle culture europee, come i cannibali che, mangiando i loro nemici, ne assorbivano le qualità. 

In ritardo su New York, che ha dedicato a Tarsila una retrospettiva al MoMA nel 2018, è ora Parigi, così importante nella formazione della pittrice, a presentare la retrospettiva «Tarsila do Amaral. Dipingere il Brasile moderno», allestita nel Musée du Luxembourg dal 9 ottobre al 2 febbraio 2025, in collaborazione con il Guggenheim Bilbao (che la ospiterà dal 28 febbraio all’8 giugno 2025). 

Tarsila do Amaral nasce nel 1886 in una famiglia della borghesia brasiliana, nel 1917, a San Paolo, segue i corsi del pittore naturalista Pedro Alexandrino e nel 1920 raggiunge Parigi dove studia all’Académie Julien e presso la bottega dell’impressionista Émile Renard. Frequenta i Saloni e, tramite il poeta Blaise Cendrars, incontra gli artisti Albert Gleizes, Robert e Sonia Delaunay, Fernand Léger e Picasso. Assorbe i principi del Cubismo, del Primitivismo e della frammentazione delle forme, adotta i i colori primari. Viaggia in Italia, Spagna e Portogallo, poi in Grecia, Israele e Egitto. Nel giugno 1926 la Galerie Percier organizza la sua prima personale, in cui espone anche «A Negra» (1923). 

Oltre alla più nota produzione degli anni Venti, vicina alle avanguardie parigine, tra cui l’autoritratto col mantello rosso prestato dal Museu Nacional de Belas Artes di Rio de Janeiro e «Caipirinha», record d’asta a San Paolo da Bolsa de Arte nel 2020, la mostra presenta anche aspetti meno noti dell’opera di Tarsila do Amaral, approfondendo la dimensione sociale e politica dei lavori tra gli anni Trenta e Sessanta: «Se un legame con i movimenti surrealista e primitivista è riconoscibile nell’immaginario onirico e religioso che, nei dipinti dell’artista, si mescola ai ricordi d’infanzia, è un realismo a vocazione sociale, vicino, tra l’altro, al muralismo messicano e brasiliano, a emergere nelle opere dedicate agli operai e alle classi subalterne, dagli anni Trenta in poi, spiega la curatrice Cecilia Braschi. Ma il gigantismo onirico delle opere più tarde e la geometria quasi astratta di alcune composizioni confermano la grande originalità con cui l’artista ha fatto sue tante fonti di ispirazione».

«Carnevale a Madureira» (1924) di Tarsila do Amaral. © Pinacoteca de Sao Paulo. Foto: Isabella Matheus. © Tarsila do Amaral Licenciamento e Empreendimentos

Luana De Micco, 07 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Il gigantismo onirico di Tarsila do Amaral | Luana De Micco

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