Curata da Marco Fabio Apolloni e da Monica Cardarelli, «L’occhio di Vespignani» è organizzata dalla Galleria del Laocoonte presso il Gabinetto dei Disegni, adiacente alla Galleria W. Apolloni, fino al 15 maggio. Sono esposti una quarantina di disegni e cinque oli tra i più rappresentativi della complessa ricerca dell’artista (Roma, 1924-2001), collezionati nell’arco di diversi anni da Apolloni, che ha potuto scegliere tra la successione di Rossana Mataloni, ultima compagna di Vespignani, e setacciando aste e raccolte private.
Le opere sono accostate attraverso assonanze tematiche e formali. «Desideravo ridare lustro alla fama un po’ appannata di Vespignani, il quale, a mio giudizio, è stato, in Italia, il più dotato e inimitabile disegnatore del dopoguerra e uno dei più grandi incisori del secondo Novecento, dichiara Apolloni. Nato disegnatore proprio durante la guerra, i suoi primi lavori apparirono nelle vetrine dell’auditorio dell’Eiar, la radio d’allora: le macerie di San Lorenzo impestate dal lezzo dei cadaveri sotto i crolli e quelle della sua stessa casa distrutta di Portonaccio, sono state per lui come la foresta di Fontainebleau per i primi paesaggisti romantici francesi. La sua estetica è nata dalla contemplazione delle rovine della guerra, così come le rovine antiche hanno generato il genio di Piranesi».
Al formidabile ciclo «Come mosche sul miele» appartengono «Foto segnaletiche» e «L’Archivio del Pornografo», in cui «ragazzi di vita» pasoliniani «hanno il volto intrappolato come dopo qualche tragico fatto di sangue, spiega ancora Apolloni, mentre altre foto, di giovani volti e di giovani corpi sono un vero e proprio tour de force di pittura illusionistica». Su tutto domina «Netta allo specchio» (1971), l’algido ritratto della bellissima moglie che, avvolta in un’aura di luce dorata, si avvicina a un’inquieta e misteriosa icona preraffaellita. Per la primavera è in programma un ciclo di conferenze.