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James Lee Byars davanti a «The Door of Innocence» (1986-87) al Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea nel 1989 (particolare). Foto Elio Montanari

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James Lee Byars davanti a «The Door of Innocence» (1986-87) al Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea nel 1989 (particolare). Foto Elio Montanari

James Lee Byars, l’alchimista che esibiva sé stesso

Nelle gigantesche Navate opere scultoree e monumentali installazioni del leggendario artista americano: ammirava De Dominicis e adorava i materiali preziosi (dall’oro in foglia al cristallo)

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Risale a quasi trentacinque anni fa’ultima grande retrospettiva in Italia di James Lee Byars (Detroit, Michigan, 1932-Il Cairo, 1997; quattro presenze a documenta di Kassel, nel 1972, 1977, 1982, 1987; quattro alla Biennale di Venezia, nel 1980, 1986, 1999 e 2013, e mostre nei maggiori musei del mondo). S’intitolava «The Palace of Good Luck» e si tenne nel 1989 al Castello di Rivoli, dove la sua asta-bacchetta dorata alta oltre 16 metri, «The Wand» (1989), accoglie tuttora i visitatori nel vano della scala.

Dal 12 ottobre al 18 febbraio 2024
è Pirelli HangarBicocca a presentare a Milano una vasta ricognizione del suo lavoro, in un’esposizione curata dal direttore artistico Vicente Todolí, che con Byars ha intrattenuto un lungo rapporto di stima e di frequentazione (due le personali volute da lui nei musei che ha diretto in passato: all’Ivam di Valencia nel 1994 e al Museu Serralves di Porto nel 1997). La rassegna, la prima postuma in Italia, è organizzata in collaborazione con il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, dove una versione del progetto sarà presentata nella sede espositiva del Palacio de Velázquez dal 25 aprile al 1 settembre 2024, ed è realizzata con il supporto dell’Estate James Lee Byars.

Mitico ed enigmatico, leggendario e sfuggente, il volto quasi sempre oscurato dall’ala del cappello, autore di opere concettuali e performative mistiche e minimali al tempo stesso, spirituali e corporee, sempre in bilico tra Oriente e Occidente e tra arte e filosofia, Byars (singolari le affinità culturali con Gino de Dominicis, oltre alla predilezione per l’oro e all’analogia, almeno apparente, tra il suo «The Wand» e le aste d’ottone dell’artista italiano) ha condotto una ricerca estranea al mainstream del secondo ’900, dominata com’è da un vasto sincretismo culturale, frutto dei suoi ripetuti soggiorni in Giappone e del suo costante nomadismo tra New York, l’amata Venezia, Berna, Santa Fe e la California. E attraversata dalla passione per materiali preziosi e sensuosi (ripudiati dall’arte del dopoguerra) come l’oro in foglia, il marmo, la seta, il cristallo: perché l’arte, per lui, doveva essere anche alchimia.

Eppure, forse proprio per la seduzione intellettuale esercitata dalle sue volute e cercate ambiguità interpretative, James Lee Byars ha lasciato tracce profonde nelle generazioni successive e nelle vicende dell’arte recente. Molto attesa, perciò, la mostra di Pirelli HangarBicocca, che nello spazio gigantesco delle Navate riunisce, in dialogo con l’architettura, opere scultoree e installazioni monumentali realizzate tra il 1974 e il 1997 (l’anno della morte), giunte qui da collezioni museali internazionali, alcune delle quali viste assai raramente ed esposte in Italia per la prima volta.

Le forme elementari (sfere, prismi, parallelepipedi, con rari scarti verso lusinghe baroccheggianti), combinate con i preziosi materiali prediletti, di cui Byars potenzia le valenze simboliche proprio con la purezza delle forme, diventano strumenti per la sua ricerca della perfezione da un lato e dall’altro per la sua riflessione intorno alla transitorietà del tempo concesso all’essere umano, mentre invitano il visitatore a interagire con esse, proiettandovi sentimenti e vissuti e piegandosi alle potenzialità alchemiche e trasformative dell’arte. Ad accompagnare la mostra, un catalogo monografico di Marsilio, in uscita a novembre, con testi di Todolí, di Jordan Carter (Dia Art Foundation, New York), della storica dell’arte Sakagami Shinobu e di Alexandra Munroe (Guggenheim Museum New York).

James Lee Byars davanti a «The Door of Innocence» (1986-87) al Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea nel 1989 (particolare). Foto Elio Montanari

Ada Masoero, 10 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

James Lee Byars, l’alchimista che esibiva sé stesso | Ada Masoero

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