Trentacinque artisti la cui provenienza va dal territorio locale ampliandosi al resto d’Italia, scavalcando i confini verso l’Europa fino a raggiungere Nord Africa e Medio Oriente. Le loro opere, create per questa manifestazione, distribuite in mostre retrospettive e collettive, installazioni collocate nella natura, in palazzi, castelli e vari siti, sono tenute insieme da un filo conduttore chiaramente percepibile, articolato in tre tematiche portanti: la possibilità di incontrare ancora la vita selvaggia, il rovesciamento della prospettiva, non più, o non solo antropocentrica, e l’idea che la montagna sia ponte tra le culture e non ostacolo geografico.
Sono i temi su cui si sviluppa la nona edizione della Biennale Gherdëina: fondata nel 2008 da Doris Ghetta e promossa dall’organizzazione Zënza Sëida, il percorso espositivo, centrato a Ortisei (Urtijëi - St. Ülrich), si allunga in Val Gardena da Pontives, qualche chilometro prima di Ortisei, e Selva, qualche chilometro dopo (fino al primo settembre, tutti gli appuntamenti per le performance e le info sul sito). Un luogo dominato dalle Dolomiti, patrimonio Unesco, ma ampiamente antropizzato e sfruttato in senso turistico.
A curare questa edizione è Lorenzo Giusti, storico dell’arte e direttore della Gamec di Bergamo, appassionato di montagna e amante del cammino negli spazi naturali, con la collaborazione di Marta Papini, già braccio destro di Cecilia Alemanni alla Biennale di Venezia nel 2022. Il titolo scelto, «The Parliaments of Marmots», è preso in prestito da un popolare mito ladino nel quale fondamentale per la prosperità del popolo dei Fanes è l’alleanza con le marmotte. Viene invece dallo scrittore ambientalista americano Aldo Leopold la citazione «Thinking like a Mountain», sotto cui sono raccolte le iniziative previste durante e oltre l’apertura della Biennale Gherdëina e che si estenderanno anche al territorio di Bergamo e della catena delle Alpi Orobie.
Due citazioni che sintetizzano l’invito ad abbandonare lo sguardo antropocentrico per ritrovare lo zeitgeist di questi luoghi. Così il bostrico, piccolo coleottero che prospera in risposta ai danni umani e metereologici distruggendo interi boschi, troneggia nel monumento equestre di legno carbonizzato di Julius von Bismarck, con un rovesciamento dell’epica celebrativa, mentre nei prati del piano di Juac si distende la grande installazione di Ingela Ihrman che, con pezzi di tronco e rami recuperati, suggerisce l’enorme scheletro dell’ittiosauro, creatura marina preistorica che qui viveva in ere geologiche trascorse: tracce ne sono conservate al Museum Gherdëina, dove la natura si fa sentire nella installazione sonora di Ruth Beraha.
L’omaggio alla tradizionale scultura in legno passa dalle opere di Femmy Otten nel Castel Gardena a quella di Arold Holzknecht sul sentiero di Valle Sant’Anna. Le culture si intrecciano e connettono, come quando Nassim Arzazar dipinge sulla facciata dell’antico Hotel Ladinia (abbandonato) o, nello stesso sito, quando Michael Höpfner mette a fuoco le connessioni tra le Dolomiti e le montagne del Tibet. Poetico l’omaggio a Lin May Saeed, scultrice e attivista animalista tedesca da poco scomparsa (a Ortisei, nella sala Trenker). A Pontives l’Atelier dell’Errore, i cui lavori sono stati scelti per l’immagine della manifestazione, e ancora opere di Valentina Furian, Helle Siljeholm, Eva Giolo (anche a Bolzano da Ar/Ge Kunst), Andro Eradze, Talar Aghbassian e altri.