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Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliIl 16 novembre presso i Musei Reali, nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, si apre al pubblico una mostra dedicata ad Anton van Dyck, il miglior «allievo» di Rubens, sommo ritrattista, ma anche autore di pale sacre e di composizioni mitologiche. Van Dyck, morto giovane (nel 1641, a 42 anni), fu artista mondano, bello, elegante, spiritoso, signorile: se lo disputarono le grandi corti europee e le più grandi famiglie poiché li ritraeva esattamente come loro desideravano apparire: aristocratici racés, appartenenti a una casta superiore dove il gesto, le vesti, le acconciature e i gioielli erano importanti quanto i tratti fisiognomici.
Le sue tele sono, tra l’altro, una fantasmagorica sfilata d’alta moda della prima metà del Seicento con protagonisti che hanno ricevuto dal suo pennello anche il valore aggiunto dell’immortalità. Possedere un ritratto di Van Dyck era (e resta) uno status symbol oltreché un ottimo investimento artistico: nel corso dei secoli le sue opere mai si sono deprezzate.
La mostra di Torino «Van Dyck. Pittore di corte» si dipana con un percorso espositivo diviso in quattro sezioni e accoglie oltre 60 opere. L’evento si propone di indagare lo speciale rapporto che il pittore ebbe con le principali corti europee. Van Dyck, ancora giovanissimo, a 20 anni circa, aveva già raggiunto una fama tale da essere chiamato alla corte di Carlo I d’Inghilterra. Da allora lavorò per la maggior parte della sua carriera come artista di corte, con il compito di ritrarre i sovrani, la loro famiglia e l’entourage reale.
Carlo I definì il pittore «gloria del mondo» e l’avrebbe voluto avere in esclusiva al suo servizio. L’artista voleva però viaggiare e nel 1621 ottenne il permesso di partire per l’Italia: fu presente nelle principali corti della penisola: a Firenze, Roma, Mantova, Venezia, Torino. Ma fu a Genova che l’aristocrazia repubblicana lo adottò facendone un conteso ritrattista. In Italia l’influsso dell’arte veneta e in particolare di Tiziano modificò profondamente il suo stile.
La mostra di Torino è incentrata sui suoi ritratti, ma non mancano pale sacre e mitologiche. Le opere esposte provengono dai più importanti musei italiani e stranieri: da Washington, New York, Londra, Edimburgo, Madrid, Vienna, Monaco, San Pietroburgo, Kroměříž, Firenze, Venezia, Roma, Genova. Questi dipinti saranno confrontati con quelli conservati alla Galleria Sabauda di Torino, che ne possiede un importante e vasto nucleo.
Si potranno ammirare riunite insieme tele di vertiginosa qualità: il «Ritratto del cardinale Guido Bentivoglio» della Galleria Palatina di Palazzo Pitti, la «Lady Venetia Digby come allegoria della Prudenza» del Palazzo Reale di Milano, Carlo I e la regina Enrichetta Maria del Castello arcivescovile di Kroměříž, accostati al «Vertumno e Pomona» del Museo di Palazzo Bianco a Genova e alla «Cattura di Sansone» della Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.
Fra le gemme esposte per la prima volta in assoluto a Torino spicca la «Vergine Scaglia» della National Gallery di Londra: un lavoro che racchiude nella sua iconografia un ancora misterioso intreccio con una sconosciuta ritratta come Madonna con il Bambino. Il personaggio sulla sinistra è l’abate torinese Cesare Alessandro Scaglia di Verrua, in preghiera, il quale, con confidenza inusitata, lascia pesare le sue lunghe e fini mani direttamente sulla coscia destra della Madonna. Scaglia, uno dei massimi committenti di Van Dyck (possedeva 7 opere del pittore), collezionista e intenditore sofisticato d’arte, fu diplomatico e spia (era noto come l’agente segreto «2X»), amico di Rubens e di tutti i principali pittori e letterati del suo tempo. Al servizio del re d’Inghilterra e della Spagna, giocò partite politiche pericolose nelle diverse corti europee e morì quarantanovenne ad Anversa nel 1641.
La mostra (che chiude il 17 marzo) è organizzata dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali, Musei Reali di Torino e Gruppo Arthemisia (che edita anche il catalogo), con il patrocinio della Regione Piemonte e della Città di Torino. La cura dell’esposizione è affidata ad Annamaria Bava, Maria Grazia Bernardini e a un comitato scientifico, composto da alcuni tra i più noti studiosi di Van Dyck quali Susan J. Barnes, Piero Boccardo e Christopher Brown.

«Vertumno e Pomona», di Anton van Dyck