Ancora nel Settecento, e sino ai tardi anni Ottanta del secolo, la città di Bologna ha potuto mantenere il ruolo di centro culturale e artistico di alto livello assegnatole dalla storia. Felsina, forte di una celebrità consolidata sulla straordinaria pittura dei tre Carracci e degli artisti dell’Accademia degli Incamminati, così chiamata da loro stessi per consapevolezza di ciò che venivano realizzando, un modo nuovo e rivoluzionario di fare arte, fece del loro modello il carattere costitutivo della sua arte, nel tramando a quegli esempi di altissima retorica e profondo Umanesimo che quanti operarono dal finire del secolo barocco seppero rinverdire alla luce delle nuove conoscenze in campo filosofico e scientifico.
Furono gli artisti attivi tra Sei e Settecento, Carlo Cignani, Marcantonio Franceschini, Giuseppe Maria Crespi, vero genio dell’età dei Lumi, Donato Creti, tra i maggiori dell’epoca, con la loro autorevolezza, a persuadere il conte generale Luigi Ferdinando Marsili ad affiancare all’Istituto delle Scienze, da lui creato, un’istituzione destinata a essere per tutto il Settecento tra i principali centri di ricerca in ogni campo dello scibile, un’Accademia d’arte che si chiamò Clementina in onore di Clemente XI che ne favorì la nascita. E sarà il papa bolognese Benedetto XIV a rifondarla a metà secolo, creando così i presupposti perché le nuove generazioni potessero proseguire nel solco dell’alta tradizione aperto da quanti citati.
Intellettuale purissimo, uomo di fede forte e sincera, il pontefice volle che quanto di meglio potesse essere per l’avanzamento dell’arte, entro i limiti della disciplina intesa come fondamento delle strutture ideali della cristianità, fosse approntato per l’accademia delle arti del disegno; dai primi tempi del suo pontificato, dal 1740, dotò l’accademia bolognese di quanto di più avanzato nella dialettica degli studi, e ottenne risultati non immediati ma nel lungo periodo.
Sarà infatti la generazione dei giovani che si formarono dai primi tempi del suo pontificato a mantenere la cultura artistica di Bologna al centro dell’attenzione. I due fratelli Gandolfi, Ubaldo e Gaetano, trasferitisi dalla campagna in città per studiare alla Clementina, alla prova dei fatti (la loro smagliante pittura e i riconoscimenti internazionali che ebbero assai presto nel loro percorso) si sono dimostrati gli ultimi grandi pittori di tale ininterrotta tradizione, protagonisti dell’arte italiana nel secondo Settecento.
Ubaldo, il più anziano Gandolfi (era nato nel 1728, sei anni prima del fratello) si impegnò dagli anni Sessanta del secolo per far sì che l’arte d’aula sacra tornasse a essere di intensa ispirazione e tale da parlare nuovamente all’animo dei fedeli, superando ogni convenzionalismo che da tempo irrigidiva la sincerità del dettato pittorico, giusta la lezione, alta, di Benedetto XIV.
Senza nulla togliere alle meraviglie delle sue pitture profane, le lucenti tele che eseguì per il Gonfaloniere o quelle dei Marescalchi (favole immaginifiche di rara bellezza nell’adesione al naturale per la resa dei personaggi e nell’impostazione da grande teatro, giusta la formidabile sua capacità inventiva), o le affascinanti pitture su muro che si dispiegano sui soffitti dei palazzi nobiliari (strepitose rivisitazioni del mito sempre condite da una vena sottile di gioiosa ironia), è agli esiti della sua prolungata, convinta riflessione da pittore devoto che vogliamo rivolgerci, anche per comprendere come fosse possibile a un grande artista rispondere alla progressiva laicizzazione della cultura contemporanea.
Ubaldo si interrogò a lungo e si misurò in più e più tele con le difficoltà di ridare vigore agli antichi misteri attraverso un’arte capace di figurare con semplicità il lessico cristiano, veicolandone i contenuti attraverso la franchezza del sentimento e la bellezza delle forme. Dalle prime commesse per gli altari delle chiese di Bologna e delle Legazioni, opere di vigore e concretezza nella rappresentazione dei santi scelti come modelli di carità e di vita ma ancora un poco irretite per non raggiunta maturità, alle opere trionfanti dell’ottavo decennio della sua attività, il più fecondo e purtroppo anche l’ultimo della sua vita (si spense nel 1781), Gandolfi si mostra come uno dei pittori più concentrati alla resa di immagini di forte impatto morale e di squisita bellezza.
La strada maestra della pittura italiana è quella dell’arte cristiana, e la capacità del nostro pittore di calare la realtà del lessico dei progenitori nei sistemi culturali più aggiornati fa di lui un protagonista del percorso intellettuale del secondo Settecento, nel versante illuministico dell’esigenza di riferirsi al reale (basti pensare alle teste di carattere che eseguì copiose con esiti altissimi) in ogni occorrenza della vita, cui offrire una interpretazione, la più sincera.
Per far conoscere questo aspetto fondamentale della poetica del Gandolfi, ma anche di quanto questi seppe insegnare a quanti gli successero nella cultura bolognese, impegnandosi con coraggio, a fronte dei cambiamenti del gusto e dei movimenti culturali che agitavano l’Europa, e con determinazione, lui consapevole del divenire dell’arte, è stata allestita dal 30 novembre al 2 marzo 2025 una mostra nella Civica Pinacoteca il Guercino di Cento che custodisce due pale d’altare di Ubaldo, «La Madonna affida il Bambino a san Gaetano da Thiene» e l’«Annunciazione» del 1777: opere fondamentali per la conoscenza dell’arte di Gandolfi, e tali da far comprendere quanto erronee risultino letture, anche recentissime, mortificanti della sua smagliante pittura, del suo talento e della sua cultura, che tendono a immobilizzarlo in un limbo di provincialismo.
I due dipinti sono accompagnati dal disegno preparatorio per il san Gaetano, una sanguigna mirabile per morbidezza di resa e sicurezza delle forme, e dal bozzetto per l’«Annunciazione» di pittura fragrante nella resa pittorica, utili inoltre allo scandaglio della tecnica dell’artista.
Una mostra dunque di dimensioni più che discrete, ma proprio per questo raffinata e, concedetelo, innovativa, finalizzata alla comprensione di un settore dell’arte settecentesca attraverso l’opera di un protagonista. La mostra, dal titolo «Sentimento e ragione nella grande pittura di Ubaldo Gandolfi», ideata da chi scrive e curata con Lorenzo Lorenzini, è accompagnata da un catalogo edito da Umberto Allemandi.