«Ritratto di Fosco Maraini con la sua Nikon FA nel salotto di casa» (Firenze, 1999) di Vincenzo Cottinelli

Archivio Musec. Per gentile concessione dell’autore. Immagine tratta dal volume «L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva»

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«Ritratto di Fosco Maraini con la sua Nikon FA nel salotto di casa» (Firenze, 1999) di Vincenzo Cottinelli

Archivio Musec. Per gentile concessione dell’autore. Immagine tratta dal volume «L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva»

La versatilità di un maestro: Fosco Maraini

Lugano celebra lo studioso fiorentino con una mostra e un libro che raccoglie il repertorio pluridecennale di fotografie da lui realizzate

Antropologo, studioso di religioni orientali, conoscitore come pochi altri della civiltà giapponese, provetto alpinista, autore di libri tradotti in 18 lingue. Ma Fosco Maraini (1912-2004) fu anche un grande fotografo. Insieme alla scrittura, limpida e comunicativa, la fotografia fu l’ingrediente principe della sua narrativa etnologica, ma sarebbe sbagliato pensare che gli scatti fossero soltanto funzionali alle sue finalità di (alta) divulgazione: la sua fu la fotografia di un vero maestro. 

A restituirgli il ruolo che gli spetta nella fotografia del Novecento è il libro L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva (616 pp., 253 ill., Skira, Milano 2024, € 72), uscito a vent’anni dalla morte in occasione di una mostra del Musec (Museo delle Culture di Lugano, fino al 19 gennaio 2025). Non è un catalogo, bensì una monografia di tale peso scientifico da essere imprescindibile per chiunque voglia conoscerne a fondo la figura. Frutto di due anni di lavoro del curatore, Francesco Paolo Campione, direttore del Musec, e degli studiosi da lui raccolti intorno al progetto, il volume nasce dalla collaborazione tra il museo, il Gabinetto Vieusseux di Firenze, che custodisce l’immenso archivio e la biblioteca orientale di Fosco Maraini, la Fondazione Alinari per la Fotografia, che conserva e valorizza le immagini digitali, e le eredi: le figlie Dacia e Toni, la nipote Yoï, la vedova Mieko. Cui si aggiungono l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, che possiede i negativi della campagna fotografica realizzata nel 1951 con il bizantinologo Ernst Kitzinger, e la Fondazione Primo Conti di Fiesole, alla quale la figlia Toni ha affidato i materiali degli anni ’30 che riguardano Maraini e la sua prima moglie, Topazia Alliata. Ne parliamo con il curatore. 

Professor Campione, partiamo dal titolo del libro e dal vocabolo «empresente». Che significato gli dava Maraini?
Il neologismo esprime il presente nel momento in cui «emerge» e ci sorprende, l’attimo in divenire in cui si materializza l’esperienza. È un presente dinamico, «vivente» direi. Condividerlo con gli altri (e non carpirlo o catturarlo) era l’obiettivo della sua fotografia. E proprio a tale attitudine credo si debba la straordinaria freschezza di immagini che non smettono mai di incantare

Nel libro lei conduce un’indagine approfondita del lavoro teorico di Maraini sulla fotografia e pubblica per la prima volta in edizione critica gli scritti degli anni tra il 1935 e il 1950. Può chiarire l’importanza di questa indagine? 
Come per gli altri ambiti del suo «multiforme ingegno», quelli furono innanzitutto gli anni in cui Maraini elaborò la sua visione del mondo, rinunciando deliberatamente a percorrere le strade consuete, prima di tutte quella accademica, per dedicarsi a una peculiare «formula» che mescolava in modo sapiente le immagini fotografiche, i disegni e le cartografie con un’elegante, e a tratti poetica, narrazione etnologica. Una formula che fece dei suoi libri veri e propri best-seller, ripubblicati e tradotti ancora oggi sempre con successo. Per quanto riguarda la fotografia, la considerava un tutt’uno, rifiutando la dicotomia, allora radicata, tra «professionisti» e «dilettanti». Come scrisse nel 1935, la fotografia non era «una pictura minor, ma un mezzo nuovo e perfettamente autonomo di esprimere impressioni, sentimenti, ideali». In altre parole, un’innovativa forma d’arte che richiedeva una specifica estetica. Maraini ne indagò molti aspetti, dalla fotografia di montagna a quella sottomarina ma, più di tutto, il suo intimo desiderio fu cogliere i caratteri umani (le sue fotografie di bambini rivaleggiano soltanto con quelle di Roman Vishniac) e l’ethos (il temperamento culturale) delle genti che incontrò nei suoi numerosi viaggi.

Quali sono le novità? 
I ritratti di Anna Magnani, testimoni anche del rapporto affettuoso che li legò nella seconda metà del 1949, il reportage in Grecia del 1951, le fotografie dei mosaici delle chiese normanne di Sicilia (che hanno rivelato dettagli emozionanti), il «ritratto di fuoco» delle acciaierie Falck (1956), le immagini di Gerusalemme all’indomani della Guerra dei sei giorni (1967) e, non ultime, le «fotofànfole», magnifiche invenzioni iconotestuali scritte nella lingua immaginaria divenuta ormai un classico della poesia nonsense italiana.

Siete intervenuti con restauri sulle immagini?
Sì, tutte le immagini, magistralmente stampate da Roberto Berné, sono state restaurate: abbiamo lavorato sui negativi, restituendo filologicamente anche i formati originali, che per Maraini erano parte della ricerca estetica: ritratti e paesaggi, di formato rettangolare, li scattava con la Leica; quando voleva invece rivelare l’anima delle persone usava il formato quadrato della Rolleicord, più meditativo. Ogni fotografia è accompagnata da un’ampia scheda critica, per consegnare al lettore il valore di un vero libro d’arte fotografica

La principessa del Sikkim (india) nei pressi del Passo Nathu La, al confine tra India e Cina, a 4.310 m di altitudine, in una foto di Fosco Maraini del 1948. © Foto: Fosco Maraini / Proprietà Gabinetto Vieusseux. © 2024 Archivi Alinari

Ada Masoero, 26 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

La versatilità di un maestro: Fosco Maraini | Ada Masoero

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