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Mario Mafai, «Autoritratto», 1928 (particolare)

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Mario Mafai, «Autoritratto», 1928 (particolare)

L’altra forma di amore tra Mario Mafai e Antonietta Raphaël

Nel Casino dei Principi di Villa Torlonia, a Roma, sono esposte oltre 100 opere di due protagonisti della Scuola Romana, uniti dall’arte e dai sentimenti

Oltre 100 opere raccontano l’arte e l’amore di Mario Mafai e di Antonietta Raphaël. Avviene nel Casino dei Principi di Villa Torlonia a Roma dal 23 maggio al 2 novembre, nella mostra «Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’altra forma di amore», ideata dal Centro Studi Mafai Raphaël, e curata da Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis. Significativa la sede: al Casino dei Principi è consultabile, dal 2006, l’Archivio della Scuola Romana, creato da Netta Vespignani e donato al Comune di Roma. Per di più, presso il Casino Nobile della stessa Villa Torlonia, è ospitato il Museo della Scuola Romana.

La mostra e il catalogo De Luca dispiegano l’intero corso creativo ed esistenziale dei due capostipiti della Scuola Romana, intrecciando, come fu nelle loro vite, un’arte tormentata e un amore non meno tormentato. L’«altra forma di amore» del titolo è una citazione da una lettera di Mafai alla consorte, nei primi anni Quaranta, in cui viene descritto il loro legame «venato di sublimi malinconie», profondo e contorto, per l’irrequietudine di entrambi e per la presenza di un ingombrante amante, da entrambi condiviso: l’arte.

Si conobbero nel 1925 all’Accademia di Belle Arti di Roma. Poco dopo trovarono casa in via Cavour 335, da cui nacque la definizione, coniata da Roberto Longhi nel 1929, di Scuola di Via Cavour. Ne faceva parte anche Scipione e, come testimoniato dalle opere giovanili in mostra, la loro è una pittura venata di fosche cromie e arcaismo espressivo. «Determinante per l’immissione di energia espressionista fu Antonietta Raphaël», dichiara Valerio Rivosecchi, tra i maggiori esperti dell’arte italiana tra le due guerre. Ebrea, la pittrice dovette fuggire dalla sua Lituania per i pogrom, rifugiandosi dapprima a Londra, poi a Parigi e infine a Roma. «Di qualche anno più anziana, sempre secondo Rivosecchi, ma soprattutto carica delle energie creative accumulate grazie alle esperienze internazionali, Raphaël aiuta Scipione a liberare la sua vena fantastica e visionaria, e Mafai a rivelare un temperamento lirico e intimista, condividendo tuttavia lo slancio espressionista, acceso e fantastico dei due compagni di strada». Tra le opere esposte, anche due di Scipione. 

La mostra si sviluppa seguendo tutti i cicli e le stagioni dei due protagonisti. Nature morte, vedute romane, reciproci ritratti, interni domestici (con le tre figlie Miriam, Simona e Giulia), tutte opere che tracciano una linea antinovecentista, e prettamente romana, dell’arte italiana durante il Ventennio. Molte le sculture di Antonietta Raphaël, realizzate a partire dai primi anni Trenta, per trovare un settore dell’espressività scevro da confronti (reciproci) con il compagno di vita. Di Mafai è rappresentata tutta la linea che, dai «Fiori secchi» giunge alle «Demolizioni», alle visionarie «Fantasie», e poi al salto postbellico nell’astrazione e nell’Informale, quando dirà «sono divenuto più libero, più nudo, più io». È l’approdo iperbolico di chi, precedentemente, in stagione ancora figurativa, aveva definito così il suo rapporto con la realtà: «Comprendere meglio il vero non nel senso che gli si dà abitualmente, ma nel suo cuore di assoluto e di eterno che è in ogni cosa creata». Antonietta Raphaël non portò nella vita del marito solo il vento d’Europa, ma anche l’amore per la musica (si era diplomata in pianoforte alla Royal Academy of Music di Londra). Una sezione della mostra è dedicata per questo ai dipinti di soggetto musicale come la «Lezione di piano» di Mafai del 1928 e la «Natura morta con chitarra» del 1932 di Raphaël. Esplosiva, onirica e selvaggia l’ultima stagione pittorica della donna. Su questa lunghezza d’onda, l’opera «Mario nello studio (Omaggio a Mafai)», dipinta nel 1966: un ricordo visionario dell’uomo della sua vita, a un anno dalla morte. Lei morirà nel 1975, a 80 anni, riuscendo a raccogliere i frutti di quanto seminato nel ’900 romano, grazie alla mostra che la Quadriennale del 1959-60 dedica alla Scuola Romana, da cui risultò chiaramente la centralità della sua figura, dopo decenni di condizione marginale. Da quel momento una risalita inesorabile, fino alla presente mostra.

Antonietta Raphaël, «I bambini si mascherano da grandi», 1965

Guglielmo Gigliotti, 22 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

L’altra forma di amore tra Mario Mafai e Antonietta Raphaël | Guglielmo Gigliotti

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