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Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliDi arrivi di spose la storia dell’arte ne ricorda parecchi: da quello trionfante di Maria de’ Medici a Marsiglia dipinto da Rubens, ai dipinti dei royal wedding fra Settecento e Ottocento che hanno riempito musei e municipi, a quelli insopportabili dei moralisti alla Greuze, alle caste (o ipocrite) epopee dei matrimoni vittoriani, ai matrimoni, quasi sempre iellati o comunque molto inquietanti dei pittori russi dell’Ottocento (Vasilij Vladimirovic Pukirev è il più indiziato). E poi c’è la sontuosa vestizione della sposa di Max Ernst.
Il tema nuziale attrae, è pruriginoso il giusto, solletica spesso sentimenti bassi: invidia, curiosità malevola, pettegolezzo, voyeurismo; altrimenti come spiegare il motivo per cui tutto il mondo resta appiccicato a tv e media per seguire matrimoni di reali di qualsivoglia luogo come se fossero fatti loro? Faustino Bocchi, singolare pittore bresciano attivo fra la seconda metà del Seicento e prima metà del Settecento, quando ha dipinto il suo «L’arrivo della sposa» non pensava però a nulla di tutto questo.
Difficile vedere un quadro come quello che fra il 2 e il 24 marzo prossimi sarà esposto presso la Galleria Caiati di Milano e per il quale vale la pena andarci. Ne uscirete turbati però, sappiatelo. Non è un quadro qualsiasi, non è un quadro che si vede tutti i giorni e da cui si esce indenni. È una tela che brulica di insettini dove l’argomento è l’arrivo di una sposa nana, molto volgare, vestita da meretrice veneziana, brutta e ripugnante, che sbarca da una gondola guidata da una cavalletta, accolta da un nano sposo in abiti nobiliari e con un mazzo di fiori, altrettanto brutto e volgare. Ma non è certo questa l’unica stranezza di una tela che sembra uscita da una fantasia perversa.
Nel catalogo che accompagna la mostra milanese, Mariolina Olivari ha ben esemplificato il tessuto storico e culturale di opere come queste: un genere in realtà molto raffinato che si inseriva nella moda e nel gusto del tempo e che ottenne infatti subito grande successo presso i collezionisti che andavano a caccia di soggetti nuovi. Anche se c’è da domandarsi se chi si metteva in casa quadri simili poi li osservasse sul serio e soprattutto se ne capisse la reale portata, tenendo conto anche del fatto che spesso le opere del Bocchi con i loro nani erano destinate alle stanze dei bambini: oggi piomberebbe in casa il tribunale dei minori con dieci psicologi e probabilmente con la sospensione della podestà genitoriale.
Dietro questa tela, perversa quanto basta, c’è una beffarda presa di posizione contro la società del suo tempo che Bocchi maschera con il velo del grottesco e quello delle ragnatele-tendaggio che fanno da quinta alla scena. L’autore ha saputo dipingere, con ammirevole ingegnosità, creature demoniache, che mostrano l’ossessione prodotta dai suoi stessi personaggi e poi nello spettatore con un profluvio di insetti e personaggini graziosamente orribili che si moltiplicano come in un gioco di specchi malefici e che crea un forte effetto emotivo.
L’atmosfera è picaresca e fantastica ma l’irruzione dell’insolito, la ripetizione dei temi (insetti nani smodatamente bevitori, mangiatori, sessualmente attivissimi, associati ad animali stomachevoli) è volta ad aggredire con le sue armi ironiche la stabilità del mondo. Quello che normalmente non può avvenire nella società costituita, qui avviene e trabocca direttamente dai sogni per dare inizio a una nuova terribile specie di regolarità. Bocchi lo sapeva, perché era un pittore profondo, ma forse non lo sapevano i suoi committenti.
Non è un caso, tuttavia, che questa pittura possa essere tanto piaciuta agli illuministi lombardi. Bocchi muore nel 1741 e la seconda metà del secolo, ben sappiamo, porterà a un mondo nuovo (o forse vecchio) in cui la rivincita illuminista sulle tenebre che popolano le tele del pittore sarà in ogni caso illusoria e inquietante e «l’esprit du rigueur» in cui si credeva di essere giunti dovrà comunque presto far i conti con l’abisso da cui è uscito: un luogo insondabile, ricco di forze indomite e pronte a riaffiorare.

«L’arrivo della sposa», di Faustino Bocchi (1659-1741; particolare)