La mostra «Luigi Bartolini incisore» porta nella Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, fino al primo settembre, oltre cento opere dell’artista nato a Cupramontana, nelle Marche, nel 1892 e morto nella Capitale nel 1963. Paesaggi marchigiani, vedute, interni domestici, nature morte illustrano l’intero mondo poetico dell’artista, ordinato espositivamente dal curatore Alessandro Tosi, in collaborazione con l’Archivio Luigi Bartolini. Tra i capolavori della sua arte dell’acquaforte, il «Martin pescatore» del 1935, «Ragazza alla finestra» del 1929, il «Grillo domestico» del 1926, «Piante grasse» del 1935, «La finestra del solitario», il «Vaso di garofano» del 1928. Tutte opere sostenute da una tessitura vibrante e frammentata dei segni, procedente per scatti, ed espletata mediante gesti nervosi e inquieti, come fu l’artista in vita. L’arte per Bartolini era una via di comprensione profonda del segreto delle apparenze, e le sue riflessioni critiche si sono spesso concentrate sul processo generativo dell’arte, alla ricerca di quella che lui definì «l’origine angelica» dei segni. Di qui il sorgere al contempo spontaneo e meditato di quelli che lui stesso chiamò «tremolii e guizzi di un sismografo, che sembrano un linguaggio telegrafico».
Due sono le polarità geografiche della sua vita: le Marche e Roma. La seconda è già frequentata come studente dell’Accademia di Belle Arti, ma diverrà sede stabile di vita a partire dal 1938, quando ottiene l’incarico di insegnante di disegno al Regio museo artistico industriale. Bartolini vi giunge già da artista affermato, ma anche in qualità di poeta apprezzato da Montale e Ungaretti, nonché di scrittore (nel 1946 scriverà anche Ladri di biciclette, tradotto in film da De Sica e Zavattini). Giunge tuttavia a Roma sorvegliato dagli occhi della polizia politica, essendo inviso al regime fascista, che lo aveva mandato nel 1933 al confino a Montefusco, presso Avellino. Le sue colpe, oltre all’incapacità di tenere le sue opinioni politiche per sé, alcune lettere inviate all’esule parigino Lionello Venturi. Il grande storico dell’arte ripagherà questa amicizia con un importante saggio dedicato a Bartolini, apparso nel ’46 sulla rivista «Mercurio». Carattere e moralità di Bartolini trovarono così confacente albergo nell’arte incisoria, da lui ritenuta la regina dei linguaggi espressivi, superiore alla pittura anche per la capacità di resistere al tempo. Dirà: «Una lastra si può ristampare anche dopo cent’anni; e se lo merita, anche dopo mille».