«Untitled (Margiela Autoerotic Asphyxiation Doll)» (2022) di Alex Bag (particolare)

Image

«Untitled (Margiela Autoerotic Asphyxiation Doll)» (2022) di Alex Bag (particolare)

L’ultimo atto politico di Lo Pinto

Dopo cinque anni il direttore saluta il Macro di Roma con una collettiva di oltre trenta artisti che intende «restituire uno sguardo dinamico al visitatore»

Nel 1958, Allan Kaprow scriveva in maniera programmatica e preveggente. «(...) Questi creatori spavaldi non solo ci mostreranno, come se fosse la prima volta, il mondo che abbiamo sempre posseduto benché ignorato, ma ci renderanno partecipi di una serie di eventi e avvenimenti inauditi, trovati nei bidoni della spazzatura, negli archivi della polizia, nei corridoi degli alberghi, visti nelle vetrine dei negozi o per strada, sentiti nei sogni o nei peggiori incidenti». L’environment storico di Allan Kaprow, «Yard» (1961), lo scorso 5 settembre ha anticipato, nel cortile del Macro, una grande collettiva ideata dal Luca lo Pinto a conclusione della sua direzione alla fine del 2024. L’opera consiste in mucchi di copertoni usati, che all’epoca colmavano un cortile su strada, per cui i visitatori e i passanti potevano accedervi, camminare sopra le gomme e spostarle. «Yard» è stata scelta da Lo Pinto come una sorta di «gesto» unico capace di condensare i significati essenziali della sua idea di «museo»: «Manifesto di un’arte capace di fondersi con gli spazi esistenti e i contesti sociali in cui è situata, “Yard” è una critica del potere individuale dell’artista a favore della collettività; inoltre nega lo statuto dell’opera d’arte come una “struttura” che debba necessariamente aspirare a una condizione definitiva». 

Nell’arco di cinque anni, Lo Pinto ha esplicitato la visione del suo progetto con limpida coerenza, vedute ampie e imprevedibili, ponendo al centro lo spettatore e istigandolo a uno sguardo riflessivo, immaginativo, in grado di percepire il Macro come «una mostra di tante mostre». Volendo chiudere il cerchio del suo progetto, dal 4 ottobre al 16 febbraio 2025 allestisce «Post Scriptum. Un museo dimenticato a memoria», che riporta a nudo lo spazio museale, smantellando la programmazione concepita fin dall’inizio come una specie di «magazine», che dalla prima mostra, «Editoriale», diffusa nell’intero spazio architettonico, è stata poi declinata in otto sezioni tematiche. «Il titolo della collettiva, “Post scriptum”, rimanda a una sorta di postfazione, di nota finale, spiega lo Pinto, mentre il sottotitolo è mutuato dall’ossimoro “Dimenticato a memoria” (1972) creato da Vincenzo Agnetti in un’opera in mostra, allusione a una sorta di esercizio rispetto alla concezione convenzionale di “museo”, anche quello di arte contemporanea, che lo associa alla Storia con la esse maiuscola e a una conseguente posizione passiva da parte dello spettatore; invece ho sempre immaginato il ‘museo’ come una persona, un corpo vivente, che, se da una parte vede il mondo attraverso gli occhiali della Storia, dall’altra necessita di relazionarsi al presente, a un tempo non lineare, a una realtà “associativa”, disarticolata. Il mio è uno spostamento d’attenzione, un “atto politico”: restituire uno sguardo dinamico al visitatore». 

Promossa da Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo#EstateRomana2024, la collettiva include oltre trenta artisti italiani e internazionali, i cui lavori riempiono tutto il museo. Si va dagli storici come Luciano Fabro, rappresentato dall’unica opera sonora realizzata, Felix Gonzalez-Torres con una delle sue celebri «Tende», la danzatrice americana Simone Forti, Isa Genzken, Alberto Garutti e il musicista Charlemagne Palestine agli emergenti Hamishi Farah e Sandra Mujinga, fino a Pippa Garner, che usa il gender come mezzo espressivo. Artisti che vivono a Roma, come Thomas Hutton e Lorenzo Silvestri, quest’ultimo con il video «Amo Roma, scappo da Roma», a figure celebri all’estero come Issy Wood e per la prima volta in Italia, quale Diane Simpson. Infine lo stilista Maurizio Altieri e i designer Paolo Pallucco & Mireille Rivier. Il catalogo ha la veste di un magazine concepito come un editoriale di moda con il contributo della fashion stylist Francesca Cefis e le fotografie di Lukas Wassmann.

«Questa mostra sarà come un guardare un fuoco d’artificio, una singola poesia che parli per l’ultima volta all’unisono quel vocabolario che ha risuonato nel corpo del museo», conclude Lo Pinto. 

«Dimenticato a memoria» (1972) di Vincenzo Agnetti

Francesca Romana Morelli, 02 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

L’ultimo atto politico di Lo Pinto | Francesca Romana Morelli

L’ultimo atto politico di Lo Pinto | Francesca Romana Morelli