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Carolina Sandretto
Leggi i suoi articoliLa seconda mostra nella nuova sede milanese della galleria Frittelli Rizzo, «Torre Branca e altri luoghi comuni» (fino al 7 febbraio 2026), è dedicata a Francesco Jodice (Napoli, 1967) e riunisce tre progetti dell’artista che partono da Milano e dall’idea dei galleristi Michela Rizzo e Simone Frittelli di invitare un artista che vi abita e che la racconti. L’allestimento include tre lavori che interrogano l’idea di città come ideale e come realtà: «Torre Branca» (2023), «Margini» (2019) e «Falansterio» (2020).
«Ho deciso di esporre il lavoro sulla “Torre Branca” che ho fatto due anni fa per la mostra “Architetture Inabitabili”. È un progetto nato dal tema della relazione fra l'architettura e le capacità delle politiche di usarla come manifesto e come sistema di conversione culturale di una comunità», racconta Jodice. «Torre Branca» nasce come un progetto personale per l’artista: «Quando arrivai da Napoli è una delle prime cose che ho visto a Milano, la conoscevo attraverso il cinema degli anni ’60 e ’70 e il mio grande ricordo era l’inizio di “Milano calibro 9” il film di Fernando Di Leo uscito nel 1972». Per Jodice la Torre Branca rappresenta un punto nevralgico, un totem di Milano. «Quando però sono arrivato qui, mi sono accorto che in città domina una sorta di amnesia collettiva: la Torre non è più percepita come un vero riferimento urbano. Comincio allora a studiarla e scopro che la sua origine è legata a una precisa volontà del regime fascista. È un progetto imposto da Mussolini per dotare Milano di un’architettura simbolica. Al punto che, all’epoca, il Parco Sempione venne organizzato con cinque viali che convergevano sulla Torre, per ridisegnare la gerarchia della città e mettere in secondo piano Piazza Duomo». Francesco Jodice decide di ridare una posizione centrale alla Torre Branca, fotografandola di notte quando torna a essere qualcosa di meraviglioso, fantastico e onirico. Jodice porta la Torre Branca nel nostro presente e, attraverso l’Intelligenza Artificiale crea immagini in cui le attribuisce nuovi nomi, evocando le molte identità che la struttura ha assunto nel tempo. È un modo per restituire l’idea di un luogo simbolo della volubilità di Milano.
La frase di Carlo Cassola: «Amo la periferia più della città. Amo tutte le cose che stanno ai margini» è quella che ha ispirato il film «Margini» (2017), realizzato da Francesco Jodice per la mostra «Da io a noi. La città senza confini» al Quirinale. L’idea della mostra era di accorciare la distanza tra i luoghi del potere e le frange esterne. «Ho voluto fare un film di spezzoni d’archivio tratti dal cinema italiano tra gli anni ’40 agli anni ’80 che ho rimontato, creando conversazioni e dialoghi fittizi, mettendo Monica Vitti in dialogo con Totò». Ciò che davvero interessa all’artista però non sono i personaggi, quanto ciò che si apre alle loro spalle: il nuovo paesaggio italiano fatto dei margini delle grandi città. Si stima che oltre il 60% dell’edificato del Novecento sia sorto nei quindici anni compresi tra il boom economico e l’inizio degli anni Ottanta. Il film ripercorre proprio quella stagione epica di crescita con la nascita di palazzi enormi e la creazione del tessuto suburbano che è poi diventato la periferia che ha ridisegnato l’Italia.
Per il progetto «Falansterio» (2020) «ho selezionato cinque esempi emblematici del socialismo architettonico italiano degli anni ’60 e ’70: grandi utopie urbanistiche pensate per dare forma a una nuova vita collettiva. Tra queste, lo Zen di Palermo di Gregotti o il Gallaratese di Aldo Rossi a Milano e le Vele di Scampia. Architetture prestigiose che incarnavano l’ambizione politica, oggi in parte disattesa, di ripensare la comunità attraverso lo spazio costruito», spiega. Attraverso queste fotografie prese da Google e pitturate con l’acquarello, Jodice ci porta in una dimensione nostalgica da cartolina del Grand Tour dell’800, che non nasconde una serie di problemi della nostra società. «Questi progetti sono stati dei grandi fallimenti anche se personalmente trovo che le architetture siano strepitose». Ma è proprio il fallimento, e la sua lettura critica, a interessare Jodice, che lascia volutamente allo spettatore una zona d’ombra. Sotto ogni fotografia compaiono le leggende metropolitane nate in quei palazzi e una di esse è falsa. Spetta a chi guarda decidere dove vedere la bellezza, dove riconoscere il fallimento e, soprattutto, dove sia la verità.
La mostra personale di Francesco Jodice propone una lettura unitaria di lavori ideati dall’artista, che vengono riuniti per creare un dialogo sul vivere moderno. In un’epoca e in una città nella quale i problemi di urbanistica e del vivere comune non sono mai stati così attuali, le immagini dell’artista hanno la capacità di far riflettere lo spettatore sul ruolo delle architetture nel mondo di oggi e sul modo in cui esse siano lo specchio dei cambiamenti culturali all’interno della nostra società.