«Homo hominis lupus», scriveva Thomas Hobbes oltre quattro secoli fa. Un’espressione volta a descrivere la natura egoistica, profondamente animale dell’uomo, la cui esistenza è unicamente regolata dall’istinto di autoconservazione. Francis Bacon, il pittore irlandese noto per le sue figure distorte, spezzate, disarticolate, ne era assolutamente convinto: bestiale è la natura dell’essere umano e la civiltà non è altro che una farsa, un’impalcatura posticcia sotto cui ribollono impulsi brutali.
«Francis Bacon: Man and Beast», l’attesa mostra alla Royal Academy of Arts (dal 29 gennaio al 17 aprile; a cura di Michael Peppiatt, Sarah Lea e Anna Testar), riflette sulla relazione tra umanità e mondo animale nel lavoro di uno degli artisti più amati dal pubblico internazionale. 45 i dipinti esposti e disposti secondo un ordinamento cronologico, a partire dalle prime opere degli anni Trenta ai lavori ultimi, precedenti la morte dell’artista.
Il motivo del volto e della testa ha fornito a Bacon uno strumento fondamentale per l’esplorazione del rapporto uomo-animale: lo si nota nelle serie di sei «Heads» che realizzò in occasione della sua prima personale nel 1949, incorniciate dentro strutture a forma di cubo e le cui bocche ritorte e ringhiose nascono dallo studio di fotografie di scimpanzé.
Un anno dopo, in «Fragment of a Crucifixion», il pittore sostituirà la figura umana sulla croce con una testa di cane e una creatura simile a un gufo, inchiodando preda e predatore al medesimo asse: qui, la violenza di una pratica barbarica e prettamente umana quale la crocifissione si confonde con l’istinto a uccidere di una belva.
L’osservazione diretta e indiretta del mondo animale ispirerà ulteriormente la produzione dell’artista: dai viaggi in Sudafrica all’interesse nei confronti della fotografia naturalista, sino alle sequenze fotografiche di Muybridge, in grado di scomporre il movimento (umano e animale) in fotogrammi indipendenti, che Bacon studierà accanitamente.
Cuore della mostra, e manifestazione più diretta dell’incontro uomo-animale nell’opera dell’artista, è il trio della corrida, esposto qui per la prima volta nella sua interezza: dipinti alti due metri, viscerali, in cui il confine tra carne e pelle, violenza ed erotismo si fa labile e indistinto.
Completa il percorso di visita l’ultimo lavoro mai realizzato da Bacon: lo studio di un toro da collezione privata (1991), la cui silhouette emerge da un fondale astratto, metafisico, pronta ad attaccare.