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Martina Brancatelli
Leggi i suoi articoliMilano omaggia Grazietta Butazzi, scomparsa nel 2013, una delle più importanti storiche della moda italiana che, a partire dal secondo dopoguerra, si è occupata in particolare degli intrecci fra la moda e la società, il potere e la cultura di ciascuna epoca.
Fino al 2 luglio negli ambienti di Palazzo Morando la studiosa milanese viene ricordata nella mostra «Ricami di luce. Paillettes e lustrini nella moda di Palazzo Morando 1770-2004», con un percorso che allinea una selezione di abiti e accessori fra gli oltre 4mila pezzi delle raccolte civiche, celebrativi dell’evoluzione del ricamo con paillettes dal 1770 al 2004. La storia delle paillettes è piuttosto antica. Il termine inglese «sequin», con il quale vengono indicate, deriva da zecchino, nome attribuito al ducato d’oro di Venezia attorno alla metà del Cinquecento: all’epoca le persone più abbienti solevano cucirsi le monete sugli abiti in modo da non perderle.
Fu tuttavia a partire dal XVIII secolo che cominciò a delinearsi la funzione puramente estetica di questi accessori da ricamo, frutto di una serie di sconvolgimenti a livello politico e sociale che scossero l’Europa del Settecento. In un’epoca storica segnata da tumultuose sommosse popolari e da una grande rivoluzione culturale, la classe borghese in ascesa comincia a interessarsi a quegli oggetti di prestigio fino a quel momento destinati a pochi. Nei sontuosi ambienti di Palazzo Morando l’occhio del visitatore è così catturato dal turbinio di luci delle opulente vesti degli ultimi decenni del Settecento, quando Napoleone, preso il potere con un colpo di Stato, sul modello di Luigi XIV ripristinò la logica del fasto promuovendo occasioni mondane. Sarebbe forse dovuto appartenere proprio a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, l’abito impero ancora da confezionare esposto in mostra.
Di qui si passa al Novecento, il secolo indubbiamente più rappresentativo sin dai preziosi vestiti della Belle Epoque tanto scintillanti quanto gli affollati boulevard della Ville Lumière. Anni nei quali la rinnovata prosperità e prospettiva di benessere individuale fino ad allora sconosciuti cambiarono i costumi. L’abito della donna divenne così l’emblema della nuova consapevolezza di un fascino non più solo domestico. Gli anni Venti e Trenta segnarono una tappa fondamentale nell’evoluzione della produzione delle paillette: fu inventato un modo di realizzarle in gelatina così da renderle più leggere rispetto a quelle prodotte fino a quel momento in metallo.
Gli sfavillanti abiti anni Cinquanta e Sessanta aprono invece la strada alle atmosfere strobosferiche di cui le paillette costituiscono l’elemento fondamentale dello stile da discoteca tanto da farne una divisa. È proprio l’uniforme civile una delle tappe che scandiscono la mostra. Tali abiti indossati da funzionari di corte erano confezionati secondo decreti che ne stabilivano le caratteristiche peculiari. In particolare il motivo decorativo realizzato in paillette era finalizzato a rendere riconoscibile colui che la indossava. Più resistenti e scintillanti che mai queste sfere di luce venivano applicate grazie all’ausilio di un piccolo foro su abiti e accessori al fine di rendere i colori più vivaci e brillanti. Gli stessi ricami di luce permangono nelle più recenti collezioni di cui è testimonianza l’iridescente abito di Roberto Cavalli a conclusione di un viaggio che attraversa più di due secoli.