Still del video «Mir Zaynen Do! (We are here!)» (2024) di Yael Bartana

Cortesia dell’artista e della Galleria Raffaella Cortese, Milano-Albisola. Foto: Pablo Saborido

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Still del video «Mir Zaynen Do! (We are here!)» (2024) di Yael Bartana

Cortesia dell’artista e della Galleria Raffaella Cortese, Milano-Albisola. Foto: Pablo Saborido

Raffaella Cortese punta su Bartana e Forti

Le intense ricerche dei due artisti, conosciuti a livello internazionale, aprono la stagione autunnale della galleria milanese

La Galleria Raffaella Cortese celebra la riapertura della stagione espositiva (dal 4 ottobre al 23 dicembre) con due mostre dedicate a due figure di rilievo internazionale: Yael Bartana (Kfarr Yehezkel, Israele, 1970), presente alla 60ma Biennale di Venezia come co-rappresentante del Padiglione tedesco con il progetto «Light to the Nations», e Simone Forti (Firenze, 1935), artista, scrittrice e danzatrice (premiata con il Leone d’Oro alla carriera della Biennale Danza 2023) la cui ricerca è stata cruciale per lo per sviluppo della performance contemporanea.

Aderendo al pensiero del Judson Dance Theatre, Forti ha sempre rifiutato ogni approccio coreografico, spettacolare o narrativo, offrendo nuova libertà al corpo e opponendosi a qualsiasi rigidità della postura e della sceneggiatura. Proprio sul processo di materializzazione del movimento, sviluppato grazie alla sua personale consapevolezza cinestetica, si concentra il progetto espositivo ideato in conversazione con il gallerista romano Fabio Sargentini, che nel 1968 presentò il lavoro dell’artista nella sua galleria di ricerca L’Attico. Lo spazio di via Stradella 1 raccoglie opere che sono esito del prolungato studio sugli animali intrapreso dall’autrice italo-americana dalla fine degli anni Sessanta. Complice l’esperienza maturata durante il periodo romano in cui la vicinanza allo zoo le permise di osservare con attenzione i movimenti degli animali, rivedendo in essi una sorta di danza utile a fare esperienza del mondo. È qui proposta la serie «Tree Drawing: I Stand Where a Bear Stood Clawing This Tree» (2010) e il polittico «Animal Study-Oxen, Turkey, Ostrich» (1982). Al civico 4 di via Stradella è esposta la raccolta «Anatomy Maps» (1985), frutto degli studi di anatomia sperimentale compiuti da Forti insieme ad Anna Halprin. Chiude la mostra la documentazione fotografica di una serie di atti performativi alla galleria L’Attico di Fabio Sargentini nel febbraio 1969. 

All’inedita opera video «Mir Zaynen Dor! (We Are Here!)» (2024) di Yael Bartana, commissionata dal centro artistico ebraico-brasiliano Casa do Povo, è riservato invece lo spazio centrale della galleria in via Stradella 7. L’artista, che attraverso la produzione di video, film, installazioni e fotografie indaga il tema della coscienza nazionale propagata in Israele, suo Paese natale, scandagliando i concetti di identità, memoria, patria e i sentimenti di appartenenza e ritorno, ragiona in questa occasione sul rapporto tra la parola cantata e la coreografia collettiva di un coro. Il lavoro, al suo debutto in Italia, mette insieme due gruppi provenienti da due diverse diaspore: Coral Tradição, un coro le cui origini risalgono all’ormai distrutto Yiddishland (un Paese i cui confini erano definiti dalla portata della lingua yiddish) e Ilú Obá De Min, un ensemble afrobrasiliano di musica di strada la cui produzione si rifà alla cultura Candomblé e alle comunità dei cimarroni (quilombo).

Intrecciando passato e presente, scenari dispotici con visioni utopiche, memoria e «pre-enactment» (il processo di mettere in atto qualcosa che non è ancora accaduto ma che si spera accadrà), Bartana è da tempo impegnata in una sorta di grande atto di riscrittura degli eventi della storia. Quale possibilità di sopravvivenza futura per la specie umana? Cosa si può opporre al mondo sull’orlo della catastrofe politica e ambientale? Quale salvezza? Se a Venezia la risposta pare incarnarsi nell’opera-astronave «Generation Ship», sottintendendo la dipartita come unica e possibile via d’uscita, a Milano è un esercizio di speranzose alleanze ad andare in scena. Sono quelle di un’ideale comunità del futuro, che nella forza ancestrale del canto e della danza trova la via della guarigione collettiva.

«Workshop performances, Spazio Zero» (1982) di Simone Forti. Cortesia dell’artista e della Galleria Raffaella Cortese, Milano-Albisola

Francesca Interlenghi, 01 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Raffaella Cortese punta su Bartana e Forti | Francesca Interlenghi

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