Sembra incredibile da scrivere anche se poi, riflettendoci bene, per niente irragionevole: quella da Gagosian (dal 6 dicembre all’1 febbraio 2025) è la prima mostra di Gerhard Richter in una galleria italiana dal 1983. Incredibile perché l’artista tedesco, principe delle aste, ospite fisso tra i 100 potenti nel sistema dell’arte nella graduatoria annualmente pubblicata da «ArtReview», per decenni al primo posto (massimo secondo, dopo Sigmar Polke) della classifica Kunstkompass, sembrerebbe dimenticato dal sistema artistico italiano da più di quarant’anni. Non irragionevole invece perché proprio lui può benissimo ignorare il marginale mercato italiano, non trovando una galleria in grado di rappresentarlo. Ma, come sappiamo, dove non arrivano gli altri, arriva Larry Gagosian.
Ed è così che negli spazi di via Crispi viene ospitata l’installazione audiovisiva «Moving Picture (946-3) Kyoto Version» (2019-24), che dà il titolo alla mostra, opera realizzata in collaborazione con Corinna Belz che incarna l’evoluzione del rapporto di Richter con la pittura, la tecnologia e la percezione. Non una retrospettiva o la presentazione di una serie di nuovi lavori, ma la creazione di un ambiente immersivo che fa convivere una proiezione monumentale di 22 metri con una partitura sonora di Rebecca Saunders, eseguita dalla tromba di Marco Blaauw e diffusa attraverso sei amplificatori che permettono al suono di avvolgere lo spettatore. Il film è da considerarsi il vertice di una ricerca che il pittore porta avanti da anni nell’ambito del progetto «Strip», avviato da Richter nel 2010, in cui l’artista analizza digitalmente i suoi dipinti precedenti. Attraverso frammentazioni, riflessioni e moltiplicazioni, decompone le immagini originali fino a trasformarle in righe cromatiche. Il risultato è una sintesi sorprendente tra pittura e tecnologia: pattern visivi che evocano il caos, ma che trovano una loro estetica nell’ordine casuale dei colori. Da questo approccio sono nati dipinti, stampe, libri e opere monumentali come la «Strip-Tower», una struttura cruciforme e coloratissima installata alla Serpentine South Gallery di Londra lo scorso aprile e che è stata lo sfondo di innumerevoli scatti dei visitatori di Kensington Gardens.
L’approccio al mezzo digitale non è un allontanamento dalla pittura tradizionale, ma un’estensione della sua ricerca. Come emerge chiaramente dai suoi lavori, infatti, il novantaduenne artista concepisce ogni innovazione come un mezzo per esplorare la memoria, la storia e la natura dell’immagine stessa. Per lui, l’arte è una continua negoziazione tra il controllo e l’imprevisto, come dimostra il processo che caratterizza i suoi dipinti astratti, dove il gesto rigoroso si mescola al caso, lasciando spazio alla sorpresa. E con un’installazione così coinvolgente, come «Moving Picture (946-3) Kyoto Version», la «sorpresa» è assicurata.