Dal 27 novembre al 23 marzo 2025, il MaXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo presenta, in collaborazione con Camera Nazionale della Moda Italiana e con la partecipazione di Fondazione Bulgari come main sponsor, la mostra «Memorabile. Ipermoda» a cura di Maria Luisa Frisa. Un viaggio nel presente che attraverso abiti, accessori e immagini ambisce a indagare la struttura creativa ed economica della moda, le sue pratiche progettuali e il ruolo dei tanti protagonisti che gravitano intorno alla sua galassia.
Dottoressa Frisa, vorrei iniziare dal titolo della mostra per chiederle in che modo una mostra possa rendere memorabile, perciò degna di essere ricordata, la moda. Qual è il suo approccio curatoriale?
Ogni mostra offre inevitabilmente il personale punto di vista di chi l’ha immaginata e progettata. Come affermava Harald Szeemann, riferimento irrinunciabile per molti curatori, una mostra assume i contorni di una nuova opera, in cui tutti gli oggetti selezionati, nelle relazioni che instaurano tra di loro sotto un titolo che sintetizza e comunica le intenzioni del curatore, diventano parte di un dialogo che svolge un racconto visuale in 3D di cui lo spettatore può sentirsi parte. La moda e soprattutto la sua esposizione possono diventare strumenti che attraverso gli oggetti e le loro relazioni creano insieme distanza e prossimità a temi e materiali. «Memorabile» vuole quindi esplicitare anche la capacità del progetto/gesto curatoriale di «fare storia», in questo caso di rendere «memorabile» il modo in cui la moda e le sue forme riescono a rappresentare la contemporaneità e i temi che l’attraversano. In questa direzione il moltiplicarsi negli ultimi anni delle mostre di moda in tutto il mondo ha dato impulso a una nuova consapevolezza del suo valore e a un diverso atteggiamento nei confronti della disciplina e dei suoi autori.
Parlare di moda non significa parlare di vestiti, come afferma lei stessa nel suo libro «Le forme della moda». Significa riferirsi a un sistema complesso, composto da oggetti, prodotti, immagini e servizi. In che modo la mostra dà conto di questa complessità?
La moda è un sistema sempre più articolato che innerva la quotidianità delle nostre vite, dalla dimensione privata di noi nelle nostre case davanti allo specchio a quella pubblica delle città in cui ci muoviamo, e nel quale, tra silenzio e clamore, euforia e disincanto, si confrontano e si intrecciano creatività, autorialità, cultura, comunicazione, mercato, impegno. «Memorabile» è così una sorta di esplorazione di quelle che oggi sono le questioni poste dalla moda con la sua capacità di essere reattiva a ogni impulso, sia esso sociale, politico, economico, culturale. Insieme, è una registrazione della vocazione della moda a essere straordinaria, smisurata, ciò che tuttavia è impossibile omettendone l’opposto. Scrive il curatore e critico Richard Martin: «Quando trascuriamo l’ordinario, l’opzione per lo straordinario svanisce. Se ignoriamo il quotidiano e il commerciale, siamo condannati a parlare solo del venerabile e del fantastico».
La mostra ambisce a scandagliare il presente e il ruolo della moda dal 2015 ad oggi. Ci spiega le ragioni di questa precisa scelta temporale?
A me interessa la moda contemporanea. Mi interessa indagare come sono cambiati i paradigmi progettuali. Come si siano evoluti gli immaginari che ciascun autore propone. La concettualizzazione delle pratiche creative. Sicuramente è difficile parlare di cose a noi così vicine. Ma io con la mia mostra non voglio dare risposte. Voglio evocare un paesaggio. Una fantasmagoria. Porre degli interrogativi perché le persone riflettano non solo sugli abiti ma sui nostri desideri.
Scriveva Nietzsche nel 1888: «Abbiamo l’arte per non morire a causa della verità». Pensa che esporre la moda possa riconnetterci e riconnetterla a quella sua dimensione onirica, di sogno, che stretta nella morsa della difficile congiuntura economica pare aver perso?
Una mostra, non solo di moda, può essere uno straordinario volano di rimandi. Direi che il più delle volte può riconnetterci con la dimensione intima di noi stessi. Gli abiti sono l’architettura più prossima al nostro corpo. Gli abiti trasformano le attitudini, le forme dei corpi, ma sono anche plasmati e ridefiniti dalle emozioni di ciascuno. Hanno a che fare con il desiderio. Ed è facile che in una mostra di moda ci si senta dentro a quello che rimane comunque il sogno della moda.
Il progetto si inserisce all’interno di un protocollo di intesa siglato tra Fondazione MaXXI-Museo nazionale delle arti del XXI secolo e Camera Nazionale della Moda Italiana. Crede che mostre come questa possano dare impulso a una pratica ancora non così frequente in Italia, ma estremamente utile a leggere i cambiamenti e gli sviluppi intervenuti nella società?
Credo nelle azioni di sistema e credo che questo protocollo d’intesa sia un primo passo molto importante per riconoscere alla moda il suo valore culturale. E come nel suo parlare di noi e del nostro stare nel tempo, sappia essere disciplina della contemporaneità. Poi ci sarebbe da fare un discorso molto più complesso riguardo al rapporto moda e museo in Italia. Non avere un vero museo della moda non ha permesso di valorizzare la moda italiana e di creare una sua mitologia; di avere un luogo in cui mostrare in maniera continuativa la moda e creare situazioni di confronto e studio in maniera organica; di raccoglierla. Ecco perché ritengo che questo protocollo d’intesa sia fondamentale per affrontare con nuovi strumenti critici il futuro della moda italiana.