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Rosalba Cignetti
Leggi i suoi articoli«Opera su opera su opera», ovvero come le opere dialogano tra di loro, con lo spettatore e con lo spazio che le ospita dando forma al dispositivo mostra. È il tema della collettiva che la Fondazione Southeritage di Matera ospita dal 29 marzo al 10 maggio, con lavori di Claude Closky, David Lamelas, Jonathan Monk, Claude Rutault e Lois Weinberger.
«A partire da ricerche e metodologie di creazione contemporanea rappresentative e da un particolare contesto espositivo quale il padiglione SoutHeritage (una cappella gentilizia facente parte di un complesso edilizio del XVI secolo - Palazzo Viceconte, ubicato al centro dei Rioni Sassi di Matera - Patrimonio UNESCO) la mostra, attraverso importanti opere-testimonianza già rubricate e/o storicizzate, vuole favorire riflessioni critiche, contestualizzazioni e ricostruzioni di qualcosa che va oltre la consueta narrazione espositiva scandagliando il formato mostra come strumento di visione per il pubblico e allo stesso tempo contribuire a ridurre, nell’esperienza culturale dei fruitori, la distanza fra cultura storicizzata e esperienza quotidiana, individuando insieme a loro direzioni di senso rispetto alle quali guardare e condividere l’esperienza dell’arte», spiegano dalla Fondazione.
Claude Rutault (1941- 2022), artista concettuale francese, non ha mai realizzato personalmente le sue opere, create attraverso regole e istruzioni. Anche le opere di Claude Closky (1963) nascono principalmente dall’uso del linguaggio sebbene si avvalga di varie tecniche che spaziano dalla pittura al disegno, alla fotografia: il suo lavoro smaschera l’ambiguità semantica dei media, della pubblicità e di Internet, mettendo a nudo i meccanismi che regolano la vita quotidiana nella società dei consumi. David Lamelas (1946), tra i pionieri dell’arte concettuale e del cinema sperimentale realizza invece installazioni scultoree monumentali legate alla dimensione architettonica dello spazio. Lois Weinberger (1947-2020), lavora invece sul rapporto tra arte e natura e Jonathan Monk (1969) suggerisce invece attraverso il suo lavoro modelli alternativi legati all’arte e all’artista.