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In frantumi il sogno americano

Robert Frank da Forma Meravigli

Chiara Coronelli

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«Dopo aver visto queste fotografie ti ritrovi alla fine che non sai più se un jukebox è più triste di una bara». Scriveva così Jack Kerouac nell’introduzione a The Americans, il più importante libro di immagini dell’ultimo cinquantennio, firmato da Robert Frank (Zurigo, 1924), il fotografo e cineasta svizzero naturalizzato americano.

Con gli ottantatré scatti in bianco e nero che compongono l’opera, pubblicata in Francia da Robert Delpire nel 1958, e un anno dopo negli Stati Uniti da Grove Press, Frank rivoluziona il modo stesso di concepire la pratica e l’editoria fotografica e cambia per sempre la prospettiva del mondo sull’America, fornendo quella che John Szarkowski ha definito «la base per una coerente iconografia del nostro tempo».

L’intera sequenza delle vintage che appartengono al progetto originale arriva per la prima volta a Milano con «Americani. Robert Frank, la serie completa», mostra appena inaugurata allo spazio Forma Meravigli in collaborazione con la Maison Européenne de la Photographie di Parigi (fino al 19 febbraio). Frank procede per frammenti senza porsi il problema di fornire spiegazioni né di cucire storie.

In un quotidiano che nessuno si gira a guardare va a grattare la superficie dell’American way of life scoprendone le contraddizioni, il conformismo, l’ingenuità, l’egoismo sociale, l’intorpidimento da corsa ai consumi e il classismo conservatore, senza drammi ma con l’occhio libero e asciutto di chi si immerge in un Paese che non è il suo. Sbarca a New York nel 1947 e viene reclutato da Alexey Brodovitch come fotografo di moda per «Harper’s Bazaar», senza però interrompere il lavoro di fotoreporter freelance, che continua anche al ritorno in Europa tra 1952 e 1953.

Nel 1955 si aggiudica la borsa di studio della Guggenheim Foundation: parte in autunno per girare gli Stati Uniti a bordo di una vecchia Ford e rientra nella primavera del 1956 con 24mila fotografie scattate. Un viaggio che tocca l’essenza dell’America anni Cinquanta, inquadrata da uno sguardo innocente, tanto politico quanto intriso di poesia.

Quella di Frank è una ballata dove le note dolenti dei funerali si confondono con gli assoli di jazz, e dove la musica dei jukebox si mescola al rumore delle tavole calde, mentre la bandiera a stelle e strisce sventola tristemente. Eppure lungo tutta la strada, tra automobili, bar, parate, televisori accesi, ritrovi dell’alta società, vetrine, catene di montaggio, cimiteri e rodei, quello che continua a crescere è il silenzio che spinge ogni rumore in secondo piano, mentre un obiettivo inafferrabile punta dritto alla fine del sogno americano.

Chiara Coronelli, 10 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

In frantumi il sogno americano | Chiara Coronelli

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