A undici settimane dall’inaugurazione, la curatrice della Biennale di Venezia 2022, Cecilia Alemani, ha illustrato oggi insieme al presidente Roberto Cicutto in una conferenza stampa in presenza il suo progetto curatoriale per la 59ma Esposizione Internazionale d’Arte, che aprirà il 23 aprile (fino al 27 novembre).
La mostra, dal titolo «Il latte dei sogni», presenterà 213 artisti, oltre 180 dei quali alla prima partecipazione a Venezia provenienti da 58 Paesi (5 le new entry: Repubblica del Camerun, Namibia, Nepal, Sultanato dell’Oman e Uganda), per un totale di oltre 1.800 lavori. Ventisei gli italiani e un’ottantina le nuove produzioni o commissioni che verranno svelate in mostra. Spicca la predominanza di donne, dalla sala dedicata all’artista portoghese Paula Rego, alla rievocazione della leggendaria mostra «Materializzazione del linguaggio», curata per la Biennale del ’78 da Mirella Bentivoglio: alcune delle 80 artiste allora presenti esporranno anche in questa occasione. Altri nomi: Christina Quarles, Carol Rama, Barbara Kruger, Ibrahim El-Salahi, Ali Cherri, Prabhakar Pachpute, Lynn Hershman Leeson, Marguerite Humeau e Rosana Paulino.
Il titolo, «Il latte dei sogni», è preso a prestito da un libro per bambini scritto dalla surrealista Leonora Carrington. Negli anni ’40 e ’50, l’artista inizia a disegnare per i suoi bambini, direttamente sui muri di casa, «storie fantastiche, poi raccolte in un libriccino intitolato The Milk of Dreams. Un libro che racconta di esseri ibridi e mutanti, che cambiano dall’umano al naturale al meccanico, immaginando un mondo in cui tutti possono trasformarsi, cambiare e divenire altro. Ho voluto pertanto scegliere le figure della trasformazione della Carrington, ha spiegato Cecilia Alemani, e la Carrington stessa come compagni di un viaggio che attraversa le metamorfosi dei corpi e le definizioni di umano».
La Alemani ha poi ricordato la genesi «unica» della mostra. Dopo la sua nomina, a gennaio 2020, tutta la fase di ricerca, di studio e di apprendimento ha dovuto farla «dal mio stanzino nel mio appartamento di New York perché non ho potuto praticamente viaggiare mai. Ma ho avuto comunque l’occasione di conoscere centinaia e centinaia di artisti, purtroppo soltanto tramite Zoom». La mancanza del contatto fisico e della visita diretta degli studi è stata compensata in parte dalle lunghissime conversazioni «quasi intimistiche e confessionali», parlando per ore e ore con perfetti sconosciuti, condividendo «questo strano senso di intimità da fine del mondo che ha tinto l’esperienza di questa mostra».
Da questi dialoghi con gli artisti sono nate e si sono imposte con insistenza domande quali: «Come sta cambiando la definizione di umano?», «Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non umano?», «Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo?», e «Come sarebbe la vita senza di noi?». Sono alcuni degli interrogativi che agitano e animano la mostra «Il latte dei sogni». Grandi questioni, anche esistenziali, che Cecilia Alemani ha provato a riassumere e distillare in tre tematiche «che non sono in nessun modo sezioni o parti della mostra», ha chiarito, ma che s’intrecciano in modo fluido e armonico nel percorso: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; la connessione tra i corpi e la Terra. O, citando la filosofa del pensiero postumano Rosi Braidotti, «la fine della centralità dell’uomo, il farsi macchina e il farsi Terra».
Sul primo tema la mostra vedrà le opere di artiste e di «individui non binari che stanno immaginando una condizione postumana, mettendo in discussione la figura universale e prettamente occidentale dell’essere umano, in particolare del soggetto bianco occidentale, come misura di tutte le cose e misura del mondo. A questo modello rinascimentale e illuminista contrappongono invece alleanze diverse, corpi fantastici ed esseri permeabili».
Quanto alla complicata relazione con la tecnologia, vissuta prima della pandemia con grande ottimismo, come un mezzo per perfezionare e migliorare il nostro corpo, fino quasi a farlo diventare eterno o immortale ma anche con sospetto, per la paura di una presa di controllo delle macchine sull’umano, durante il Covid «ci siamo resi conto in maniera ovviamente drammatica di quanto i nostri corpi in realtà siano fragili e mortali anche davanti a una forza invisibile. Il rapporto fisico con le nostre famiglie e i nostri amici è diventato impossibile ed è stato mediato attraverso lo schermo e dai device che ci portiamo in tasca. La tecnologia da un lato ci ha reso più vicini ma ci ha anche separato», ha proseguito la Alemani.
Infine il terzo punto, i legami che intrecciano i corpi e la Terra: «Sempre continuando un’idea del postumano, tantissimi artisti stanno immaginando anche un futuro e un mondo in cui dichiarano la fine dell’antropocentrismo, celebrando una nuova comunione tra gli esseri, il pianeta e altre forme di vita, in un rapporto che non sia gerarchico o estrattivo, ma un rapporto di armonia e di simbiosi con altre specie e altre forme di vita».
Disseminate intorno al Padiglione Centrale ai Giardini e all'Arsenale, le due principali sedi espositive, alternate alle opere e alle produzioni contemporanee ci saranno piccole mostre tematiche, «capsule del tempo», che raggruppano opere di artiste e artisti, in particolar modo del Novecento, che affrontano anche in un periodo storico completamente diverso, i temi della mostra. Con varie finalità: «In primis, interrogare la centralità di alcune Storie che si imposte nella storia dell’arte e nell’arte contemporanea e raccontare anche storie che molti hanno considerato minori»; e poi, prosegue Cecilia Alemani, «m’interessava molto creare dei rimandi tra le opere storiche e quelle contemporanee che saranno allestite tutt’attorno. Per questo la mostra è una mostra trans storica, che mette in dialogo il passato e il contemporaneo, anche a distanza di tante generazioni, includendo anche tante controstorie e storie di esclusione». L’allestimento, affidato a FormaFantasma, promette di farci entrare «in un’altra dimensione».
Una delle capsule includerà opere della surrealista Leonor Fini e della fotografa tedesca degli anni ’30 Gertrud Arndt e artisti dell’Harlem Renaissance come Meta Vaux Warrick Fuller.
Un’altra capsula, intitolata «Tecnologie dell’incanto», racchiude un gruppo artiste italiani degli anni ’60, vicine all’arte programmata e all’arte cinetica. «Attraverso il linguaggio astratto e cibernetico hanno riflettuto sulle relazioni tra l’astrazione e il corpo, usando tecnologie innovative e anticipando molte delle preoccupazioni dell’era digitale. Ci sarà Grazia Varisco, Laura Grisi, Nanda Vigo, ma anche Marina Apollonio, Lucia Di Luciano e Dadamaino». Nella capsula dal titolo La seduzione di un cyborg, «riferita a un futuro post-umano con opere futuriste e dada», specifica la Alemani, figureranno opere, tra le altre, di Anna Coleman Ladd, Marianne Brandt e Alexandra Exter.
La Biennale 2022, come ha annunciato il Presidente Cicutto, dedicherà anche particolare attenzione al raggiungimento della neutralità carbonica, monitorando le emissioni prodotte dagli eventi organizzati. Non potendo, al momento, mettere in atto tutte le misure concrete per ridurle, sono state attivate delle compensazioni economiche finanziando iniziative già attive nel mondo per la riduzione delle emissioni. Tutta l’energia utilizzata dalla Biennale, intanto, proviene da fonti «green».
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