«Hinomisaki nella provincia di Izumo», dalla serie «Souvenir di viaggio III (Tabi miyage dai sanshû)», di Kawase Hasui (1883–1957), periodo Taisho, 1924. Museum of Fine Arts, Boston. Chinese and Japanese Special Fund Photograph © Museum of Fine Arts, Boston

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«Hinomisaki nella provincia di Izumo», dalla serie «Souvenir di viaggio III (Tabi miyage dai sanshû)», di Kawase Hasui (1883–1957), periodo Taisho, 1924. Museum of Fine Arts, Boston. Chinese and Japanese Special Fund Photograph © Museum of Fine Arts, Boston

A Torino il Giappone di Hokusai e Hasui

Il fascino dell’Oriente e delle stampe nipponiche rimane irresistibile

Massimo Melotti

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Torino. Pur essendo uno dei principali protagonisti del processo di sviluppo mondiale, il Giappone per noi occidentali è un mondo a sé. Del resto ci sono volute nel 1853 le cannoniere americane del commodoro Perry e l’irrefrenabile sete di nuovi mercati per dare l’ultima spallata a quella che per secoli era stata una società chiusa a ogni cambiamento esterno. Da allora i rapporti tra Occidente e Giappone sono divenuti sempre più stretti. Con esiti inaspettati, soprattutto per le arti visive.

Nella seconda metà dell’Ottocento le stampe usate per imballare il vasellame proveniente dall’Oriente fanno scoprire agli artisti di Parigi un nuovo mondo e un nuovo modo di dipingere. Il japonisme si diffonde tra il 1850 e il 1870, con la moda di collezionare, in particolare, le stampe ukiyo-e, le immagini del Mondo Fluttuante, che si potevano avere a poco prezzo. Un contributo decisivo ai cambiamenti in corso.

Claude Monet si definiva «fidèle émule d’Hokusai». Nel 1876 dipinge «La giapponese» (Boston, Museum of Fine Arts) in cui ritrae sua moglie in kimono rosso e ventaglio. Van Gogh realizza una serie di opere ispirate al celebre «Ponte di Shin-Ohashi sotto la pioggia» di Utagawa Hiroshige e il «Ritratto di Père Tanguy», cercando in Provenza «la luce assoluta del Giappone». Manet rielabora la definizione del segno e le campiture di colore. Cita nei suoi lavori oggetti giapponesi, come nel «Ritratto di Emile Zola» e nel «Ritratto di una signora» del 1873. Nel «Pifferaio», influenzato dalle stampe giapponesi, utilizza stesure piatte che esaltano la bidimensionalità dai contorni decisi, rivoluzionando la moderna prospettiva.

Toulouse-Lautrec, come scrive Argan, studia le stampe giapponesi: «In esse l’immagine non è presentata come qualcosa d’immobile, ma come un tema ritmico che si trasmette allo spettatore». L’incontro tra la staticità solenne dell’Oriente e la dinamicità della società occidentale che cambia sono le basi su cui si formerà la storia del messaggio pubblicitario. L’occasione di riflettere sulla complessità dei rapporti con il Paese del Sol Levante ci è data dalla mostra «Hokusai, Hiroshige, Hasui. Viaggio nel Giappone che cambia», sino al 16 febbraio alla Pinacoteca Agnelli a Torino.

La rassegna presenta xilografie di Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige, Kawase Hasui. Hokusai, senz’altro l’esponente più raffinato per la sua profondità stilistica, si afferma con le «Trentasei vedute del monte Fuji» ed è universalmente conosciuto per la sua opera riprodotta all’infinito detta «Grande Onda». Interprete della grande tradizione estetica dell’ukiyo-e e della società del suo tempo non è restio a introdurre nella pittura le novità dell’Occidente, anche pratiche, come l’uso del blu di Prussia.

Utagawa Hiroshige è idealmente il suo successore. La sua opera più importante «Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido», in cui raffigura la grande via che collegava l’antica Tokyo a Kyoto, illustra non solo gli scorci paesaggistici, ma i traffici, i personaggi importanti o semplici viandanti dandoci uno spaccato della società del tempo. Per la qualità dei paesaggi e delle vedute nelle varie stagioni, caratterizzati dalla neve, dalla pioggia o rischiarate dalla luna, venne definito il «maestro della pioggia e della neve».

Con Kawase Hasui, le cui opere vengono esposte per la prima volta in Italia, si fa sentire l’influenza dell’Occidente. La nuova tendenza, definita shin hanga (nuove stampe), cerca di far amalgamare elementi tradizionali e le nuove tecniche del chiaroscuro, della prospettiva e del realismo occidentale. Raffigura un Giappone che cambia, ancora incerto tra la nostalgia del passato e l’apertura alla modernità. Kawase Hasui porta avanti i temi e le tecniche delle silografie policrome fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento quando viene, nel 1956, proclamato «Tesoro nazionale vivente». L’apertura all’Occidente se da un lato apre alla modernizzazione, dall’altro, nelle arti visive, attenua quella grande forza espressiva che aveva colpito gli impressionisti. Le opere dei maestri giapponesi sono profondamente diverse da quelle occidentali soprattutto per le basi concettuali su cui si reggono.

L’arte visiva occidentale indirizza il lavoro dell’artista alla realizzazione dell’opera. L’artista si concentra sull’opera, l’esito finale da raggiungere. Per l’arte giapponese tradizionale, che ha il proprio impianto ideologico nello shintoismo e nelle pratiche zen, l’elemento centrale su cui l’artista si concentra non è l’opera ma è il «ki», la forza vitale che si esprime nel processo creativo. È questo che colpì i pittori di Parigi: la capacità di esprimere quella solennità che, primo fra tutti Cézanne, cercavano per ridare quella classicità che l’«impression» aveva sopito.

Ma la storia della reciproca influenza dell’arte giapponese e occidentale dagli impressionisti continua ancora oggi. Edgar Degas affermava che «Hokusai non è solo un artista tra gli altri nel mondo fluttuante, ma è un’isola, un continente, un mondo tutto da solo». L’ammirazione per il maestro porta Degas a conoscere la sua opera e alcune raccolte di disegni da cui trae ispirazione per le sue ballerine. L’opera «Ballerine agli esercizi» del 1887 rimanda alla «Danza del servo» nel terzo volume di questi «schizzi» o «disegni spontanei» che in Giappone vengono chiamati manga, termine che indica il fumetto giapponese. Ancora oggi i manga sono riusciti a conservare quel collegamento tra tradizione e innovazione che costituisce la loro forza.

Definito il «cool nazionale lordo» del Giappone, sono divenuti una potenza economica che dallo Stato del Sol Levante è dilagata nel resto del mondo influenzando tendenze artistiche e modelli espressivi.

«Hinomisaki nella provincia di Izumo», dalla serie «Souvenir di viaggio III (Tabi miyage dai sanshû)», di Kawase Hasui (1883–1957), periodo Taisho, 1924. Museum of Fine Arts, Boston. Chinese and Japanese Special Fund Photograph © Museum of Fine Arts, Boston

Massimo Melotti, 31 ottobre 2019 | © Riproduzione riservata

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