Cindy Sherman da 40 anni mescola tutti i codici

Una grande retrospettiva alla National Portrait Gallery

«Untitled Film Still #56» by Cindy Sherman, 1980. Courtesy of the artist and Metro Pictures, New York
Chiara Coronelli |  | Londra

Gigante dell’autoritratto performativo da oltre quarant’anni, Cindy Sherman (New Jersey, 1954) è protagonista di una grande retrospettiva alla National Portrait Gallery (NPG) omaggio a un’artista che ha aperto molte strade, non ultima quella della staged photography, e giocato un ruolo fondamentale nel passaggio della fotografia al circuito fine art (fino al 15 novembre, a cura di Paul Moorhouse).

Con un percorso che «sembra più incisivo e preveggente che mai nell’era dei social media e dei selfie», come nota Nicholas Cullinan direttore della NPG, «Cindy Sherman» conta quasi 180 opere, tra lavori chiave, nuove produzioni e inediti, realizzate dall’artista americana dal 1975 ad oggi, intorno al tema della natura fluida e artificiosa dell’identità, e della sua rappresentazione soggetta al potere deformante dello sguardo massmediatico.

Una radice che è già nei 5 trittici di «Cover Girl»
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