«Anderlecht III» (2018) di Berlinde De Bruyckere. © Berlinde De Bruyckere. Cortesia dell’artista e di Hauser & Wirth, fotografia di Mirjam Devriendt

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«Anderlecht III» (2018) di Berlinde De Bruyckere. © Berlinde De Bruyckere. Cortesia dell’artista e di Hauser & Wirth, fotografia di Mirjam Devriendt

La memoria a fior di pelle di Berlinde de Bruyckere

Nuove opere dell'artista concepite per la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

La pelle, «quella è la bandiera della nostra patria, della nostra vera patria. Una bandiera di pelle umana. La nostra vera patria è la nostra pelle»: così scriveva Curzio Malaparte rievocando i giorni della «peste di Napoli» nel 1943. Un’epidemia morale, non fisica, esplosa nell’Italia divisa a metà fra due invasioni: quella dei liberatori americani e quella degli oppressori nazisti.

La pelle di Malaparte, tragica, lucida e insieme visionaria immagine di un’umanità ridotta alla brutale esigenza di salvarsi la vita a ogni prezzo, ha forse qualcosa a che fare con il lavoro che Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964) ha concepito per la sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: è la stessa artista belga a collegarlo ai nostri tempi, che presentano sinistre somiglianze con il clima che negli anni Trenta precedette la guerra e l’Olocausto.

Il pensiero corre ai paralumi di pelle umana nei campi di sterminio, quando si sente la De Bruyckere parlare di queste sculture costituite da cumuli di pelli animali o dai loro calchi, volumi che possono ricordare l’uso del cuoio in ambito minimalista, ma che qui rivendicano la loro matrice organica e il loro legame con il pensiero storico e politico.

Eppure, come sempre nel suo lavoro, la morte convive con una forma di erotismo, dettato dalla consistenza tattile del materiale: «Nella mia opera si vede Eros e Thanatos dappertutto, ha dichiarato l’artista. Quanto ai materiali, uso la cera perché è delicata, flessibile, puoi farci quello che vuoi, come la pelle, che puoi tendere e piegare. C’è qualcosa di molto umano nei materiali che scelgo, non sono freddi».

Se in passato a ispirarla è stata la memoria della città di Ypres in Belgio, teatro di sanguinose battaglie nella prima guerra mondiale, questo nuovo lavoro, allestito dal 1° novembre al 2 febbraio, è frutto di una visita a un laboratorio per la lavorazione delle pelli ad Anderlecht.

Figlia di un macellaio, la De Bruyckere ha convissuto sin da bambina con la morte e con il corpo sezionato e scomposto; la pelle, in tal senso, è un’allusione al corpo quando questo non c’è più; da involucro ne è diventato calco.

Allo stesso modo l’autrice, che ama la mitologia classica, avrà pensato al supplizio inferto da Apollo a Marsia, il fauno che aveva osato sfidarne il talento musicale ma che, proprio attraverso la sua sofferenza, è stato consegnato all’eternità del mito, al pari di un dio.

E le sculture esposte a Torino hanno la solennità di tumuli funerari. Introdotto da opere di più piccole dimensioni, il culmine della mostra è una vasta installazione che ai frequentatori della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo suggerirà qualche analogia con quella, altrettanto drammatica, di Adrián Villar Rojas nel 2016.

«Anderlecht III» (2018) di Berlinde De Bruyckere. © Berlinde De Bruyckere. Cortesia dell’artista e di Hauser & Wirth, fotografia di Mirjam Devriendt

Franco Fanelli, 29 ottobre 2019 | © Riproduzione riservata

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